«Dobbiamo salvarci non esiste
Noi Cantù possiamo salvarci»

L’intervista a Daniele Della Fiori, general manager dell’Acqua San Bernardo

Grigliata (solo per lui) e allenamento. Non male come programma per quella che è la festa dell’estate. Ma senza distrazioni. Perché lui ama stare sul pezzo e non mollare il colpo. Avendo tutto sotto controllo.

Questione di rango e di carattere. Daniele Della Fiori, general manager dell’Acqua San Bernardo, è fatto così. Anche perché dall’esperienza di Verona è tornato cambiato (in meglio) e ora è pronto a mettere la maturazione dirigenziale a disposizione della sua squadra. Che è davvero sua, visto che nessun luogo come Cantù ha su di lui questa forza attrattiva ed emozionale.

S

i aspettava un’accoglienza del genere l’altra sera?

No, ma per un solo motivo: pensavo ci fosse più gente in vacanza e quindi meno presenze.

Invece è stato un autentico bagno di folla...

E la cosa mi ha entusiasmato parecchio. Ripeto: al di là di quelle che erano le aspettative per un raduno ferragostano, ci ha fatto molto piacere vedere così tante persone e festose.

In ogni caso avete pescato il jolly, soprattutto riportando le gente alla presentazione dopo anni di basso profilo.

Come fosse nelle ultime stagioni non posso saperlo, perché ero via e avevo staccato con tutto. Dal mio punto di vista non si è trattato che di un ritorno alla buone abitudini, quelle di fare subito unire squadra e sostenitori.

Sarà un po’ il vostro filo conduttore riportare tutto al centro del villaggio?

La condivisione città-squadra-tifosi mi sembra una delle condizioni basilari, specie in posti come questi, dove di basket si vive. Cantù è sempre stata una grande famiglia, con la squadra che è parte integrante della città. Concetti che, da sempre, ad esempio si raccontano agli americani, appena mettono piede qui.

Ma che paiono, stavolta, aver colpito, e positivamente, anche gli italiani...

Sì, ma per loro è diverso. Anche se sei giovane e alle prime armi come i nostri, quel che rappresenta Cantù nell’immaginario collettivo è ben noto. Quindi in questo caso direi che si tratti di conferme. Piacevoli, come detto, ma pur sempre conferme. Per gli stranieri, invece, è diverso. E anche in questa occasione ce ne siamo accorti.

Che gruppo è questo?

La prima settimana sono tutti bravi, educati e disponibili. Ci sarebbe da meravigliarsi, e per davvero, del contrario.

Al di là di tutto, quali sono le sue prime impressioni?

Ragazzi giovani, con qualcuno che per la prima volta mette il naso fuori dagli Stati Uniti: logico che si stiano cercando e trovando.

Richieste particolari?

Gente che pensava che qui non avessimo nemmeno l’elettricità?

A parte che il rapporto diretto è quello con il team manager Diego Fumagalli, per ora non mi pare.

E Pancotto?

Bene. Molto bene. D’altronde ce lo aspettavamo perchè lui è così, una persona grandissima.

A proposito di gruppo e belle persone, gran gesto quello del presidente di portare tutti a cena a casa sua...

In perfetto stile Marson. Con la voglia di creare entusiasmo e il suo desiderio, continuo e generoso, di far sentire gli altri sempre bene. Un clima familiare, che ha colpito tutti. Ho ricevuto solo feedback entusiastici.

Lei, invece, come sta?

In che senso?

Come vive il momento? Sempre teso come una corda di violino o ha saputo crearsi delle camere di compensazione?

È stato un ritorno molto particolare. Con tante sensazioni. Sono molto contento anche se so benissimo che, dal punto di vista agonistico, sarà una dura competizione, con valori in campo sempre più di alto livello. Tornando a me, diciamo che lo stare via, comunque, mi ha insegnato a gestire le emozioni.

Siete stati chiari fin dall’inizio con quel «dobbiamo salvarci».

Vi correggerei. «Dobbiamo salvarci» non esiste proprio, noi «vogliamo salvarci» e faremo e daremo sempre il massimo con le forze che abbiamo, questo posso assicurarlo alla gente.

Che però sembra aver metabolizzato il concetto senza troppi isterismi...

Lo zoccolo duro dei nostri tifosi ha dimostrato di capirlo, adesso speriamo che lo facciano anche gli altri. La squadra in A a Cantù è una cosa preziosissima, ma sempre meno scontata. L’importante è che la gente capisca e che i tifosi non facciano mai mancare il proprio sostegno.

Non le pare di tornare dove aveva lasciato, cioè all’ultima Cremascoli, quando il budget diminuì e gli obiettivi cambiarono?

Ogni stagione fa storia a sé. Lì, ad esempio, partivamo comunque da un paio di punti fermi, stavolta invece abbiamo ricostruito tutto daccapo. Mi sembra poi che, rispetto a quel periodo e al passato, ci sia una presa di coscienza più elevata da parte dell’ambiente anche fuori la società, e ciò potrebbe non essere un male.

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