Marson a cuore aperto
«Sarò il Prisco di Cantù»

Pillole di un’intervista che non può essere definitiva. Perché Davide Marson non è più il presidente della Pallacanestro Cantù, ma continuerà a esserci

Pillole di un’intervista che non può essere definitiva. Perché Davide Marson non è più il presidente della Pallacanestro Cantù, ma continuerà a essere il sostenitore numero uno. Pillole, dicevamo. «Il titolo, stavolta, provo a suggerirvelo io: Tra passato e presente… E poi vi spiego il motivo». In più: «Vorrei diventare il Peppino Prisco della Pallacanestro Cantù, ovvero non il presidente, ma uno sempre a disposizione, totale, della società». Per finire: «Mi piacerebbe essere ricordato come quel ragazzo un po’ pazzo che ha avuto la voglia e il coraggio di salvare questo glorioso club».

Carico, Marson. Dopo qualche giorno di silenzio è arrivato il momento di tornare a parlare…

«Ho staccato la spina per qualche giorno, e poi giustamente era il momento degli altri. Di Roberto Allievi, soprattutto».

E a lei a parlare di Allievi si illuminano gli occhi…

«Non ditemelo. Ecco il primo spunto su quel discorso del “passato” a cui mi riferivo. Aldo Allievi, suo papà, è colui che mi ha trasmesso l’amore per questi colori. Ero un terzino brocco del Novedrate, sono diventato un giocatore del settore giovanile della Pallacanestro Cantù. Che è sempre stata qualcosa in più di una società sportiva. E tutto ciò grazie al sciur Aldo».

Cosa vuol dire?

«Che lui per me è stato un esempio anche per la mia crescita personale: serietà, voglia di faticare e tenacia. Non lo erano solo per i cinque allenamenti settimanali più la partita, mi sono servite anche nella vita. Una vita che poi ti riserva tante sorprese».

Lei se ne è accorto fin da giovane.

«Ringrazio Pino Sacripanti, lo staff e che mi pagò il corso per il patentino di allenatore. Ricorderò sempre i giorni in cui giravo a fare filmati per il coach Diaz Miguel, i momenti con Craig Hodges, le partite in serie C al fianco di un monumento come Ciccio Della Fiori. Oppure il compianto Massimo Canali che fu il primo, dopo il mio incidente, a propormi di restare nell’ambiente, partendo dal cartellone pubblicitario al Pianella».

Momenti che le saranno passati per la mente anche quella sera di febbraio 2019, quando salvaste la società…

«I fatti sono nella memoria di tutti. I numeri, adesso, sono lì da vedere. Abbiamo evitato un disastro e cominciato subito a darci dentro. Oggi abbiamo uno dei piani economici tra i più tranquilli della serie A e possiamo guardare con sempre maggiore serenità al futuro».

Doveva mollare lo scorso settembre, a inizio campionato, è arrivato ai quasi due anni da presidente.

«L’ho sempre detto. Conti a posto, situazione tranquilla e io mi faccio da parte. Vorrei fare dell’altro, concentrarmi a 360 gradi sulla Cantù Next e sul nuovo palazzetto. Magari ritagliandomi un nuovo ruolo nel club».

Tipo?

«Premesso che mi hanno voluto confermare nel cda anche se non ce n’era bisogno, adesso sogno di diventare il Peppino Prisco di questa società».

In che senso, ci scusi?

«Vorrei essere un po’ l’avvocato di Cantù, l’avvocato della Pallacanestro Cantù, l’avvocato dei tifosi di Cantù. Lavorando per il bene del club».

Ruolo che in passato le è spesso riuscito bene…

«Direi di sì. Parla la storia. Ho collaborato con e per Aldo Allievi, Francesco - ma io per amicizia e vicinanza di età dico Alessandro - Corrado, Anna Cremascoli, Dmitry e Irina Gerasimenko. Nel momento in cui c’è stato bisogno di me, sono sempre sceso in campo».

Una figura che pare intrigarla.

«Eccome. Primo tifoso, amore infinito, qualche consiglio, nei momenti difficile ma non solo. Come Prisco, insomma. Per Cantù, più che per le proprietà. Per la gente che tifa Cantù».

Intanto, il bello del destino, lascia a un Allievi: Roberto.

«Per me è un onore enorme. Nel ricordo di quello che ha fatto suo papà e nel rispetto stesso della storia di Roberto. Bello vedere anche come questa sia stata una scelta condivisa. Nel momento in cui Sergio Paparelli ha deciso di non proporsi, è stata la scelta migliore. In un consiglio di amministrazione di altissimo livello e che potrà aumentare la propria competenza grazie all’ingresso del nuovo vice presidente Walter Sgnaolin».

Dicono si sia commosso nella riunione del passaggio delle consegne…

«Non me ne vergogno. Ho pianto, anche. Ho pianto dopo le belle parole che il mio “commilitone” Sergio Paparelli ha voluto dedicarmi. Però ormai era arrivato il tempo di lasciare spazio ad altri. Questa è una società che ha bisogno di un presidente di garanzia, magari più diplomatico e abituato a coltivare i rapporti. Un presidente, insomma, non alla Marson. Io sono Davide. La gente lo sa bene. Inutile che mi chiamassero presidente. Davide bastava e avanzava».

Avrà mica già la nostalgia, adesso?

«Ma no, solo questione di sentimenti. Quel discorso mi ha positivamente sorpreso, quasi non me ne sono nemmeno accorto, e il pianto è stato liberatorio. Ma lascio come il presidente che ha raggiunto la salvezza prima fuori e poi in campo, con un cda all’altezza e senza altri interessi. Questa è la mia eredità morale».

Riconosciuta da tutti.

«Per questo che, dopo aver ringraziato a più riprese tutti quelli che hanno condiviso con me questa esperienza straordinaria, ora è arrivato il momento di dedicare un pensiero a chi ha avuto, ormai due anni fa, grande fiducia in un ragazzo forse un po’ pazzo, ma stramaledettamente innamorato della Pallacanestro Cantù. Mi viene in mente, in questo momento, un concetto più volte espressomi da Juary degli Eagles».

E cioè?

«M

i ha sempre detto: “Siamo partiti con uno striscione verde e con la gente che aveva paura che scappassimo senza pagare il conto nei ristoranti delle trasferte, adesso guarda dove siamo”. Davvero, guardate dove sono. Lo striscione è azzurro e quello che hanno fatto è indescrivibile, fino alla tanta solidarietà durante il lockdown. Un po’ il destino di questa nostra proprietà: siamo partiti che avevamo sul groppone tutto il pregresso della gestione Gerasimenko, siamo arrivati a essere una società modello».

Ma lei ha deciso cosa farà da grande?

«Non ho mai abbandonato, non abbandonerò ora. È il quarto anno che metto anche la mia firma sulla fidejussione per l’iscrizione al campionato e poi rimango pur sempre il vice presidente di CantùNext, di cui mi sento l’ideatore e che ritengo l’unico modo per riuscire a portare a termine quello che in 40 anni a nessuno è riuscito a Cantù: il palazzetto, il futuro».

A proposito, come siamo messi?

«Per prima cosa, non abbiamo mai avuto paura. A livello politico e amministrativo, con il Comune i rapporti sono ottimi, visto che crede nel nostro progetto. L’opposizione? Giusto che ci sia e si informi. E che faccia opposizione, mi auguro però che sia costruttiva e che possa anche aiutare a migliorare. Mi spiacerebbe la si buttasse solo in politica, che fosse una critica sterile e con l’obiettivo solo ed esclusivamente propagandistico e/o per screditare il lavoro di questi due anni».

Può anticiparci qualcosa?

«Stiamo preparando la presentazione del concept anche per la minoranza e poi, passati 90 giorni, inizieremo a concretizzare. Il nostro progetto non è grandissimo, ma nemmeno piccolissimo. E potrà rilanciare un territorio unito sotto la bandiera della città dei 1000 canestri».

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