«Cantù, ora siamo sani e credibili. E non finisce qui»

Mauri: «Destini intrecciati per squadra e nuova arena. Manca soltanto la serie A»

Non c’è un passaggio della recente storia della Pallacanestro Cantù, da quando l’allora proprietaria Anna Cremascoli decise di aprire ai soci, che non l’abbia riguardato in prima persona o visto tra i protagonisti assoluti. Passaggi epocali, alti e bassi, ordinaria amministrazione o decisioni clamorose: Andrea Mauri c’è sempre stato.

E ci sarà da adesso in avanti, anche dopo la notizia dell’uscita del consiglio di amministrazione del club. Non è più consigliere delegato, ma mantiene il ruolo - centrale - di amministrazione delegato di Cantù Next. E siccome il futuro della squadra e della nuova arena passerà proprio sotto quel casello, c’è da pensare che il dirigente canturino di lavori da lasciare a metà proprio non dovrebbe averne.

Fughiamo subito dubbi o cattive interpretazioni: non si tratta di un addio, vero?

Vero. Parlare ormai solo di Cantàù Next è diventato riduttivo. Bisogna guardare al raggruppamento di imprese che lavorerà al progetto della nuova arena, per attività che diventano sempre più numerose. E nell’ultimo anno l’attività sotto questo punto di vista è stata ancora di più imponente, con il mio tempo dedicato alla società che si è man mano ridimensionato.

Tanto da decidere che...

Che con la chiusura del primo triennio del piano industriale era arrivato il momento di aprirne uno nuovo, pensando a un lavoro a pieno regime delle due strutture.

Quindi il suo non è stato un passo di lato?

Direi piuttosto un passo in avanti. Quasi un passo nel futuro, visto lo sviluppo del lavoro fatto fin qui su entrambi i versanti.

Che le permetterà di tenere un occhio sempre anche di là, inteso come Pallacanestro Cantù...

È un passaggio, anche a livello industriale, non di poco conto, perché pure per la società si potranno seguire le varie attività di sviluppo commerciale. Con sponsor in unione con Cantù Next e la possibilità di proporre sempre un budget all’altezza degli obiettivi.

Quanto le è spiaciuto?

La parte sentimentale conta, credetemi. Ma mai come in questo momento mi sento coinvolto, perché ormai il nostro è un progetto che non si limita più a Cantù e riguarda il territorio. Un progetto importante, con in più la parte emozionale che deriva dal fatto che quanto di buono si potrà fare sarà tutto a vantaggio della mia squadra del cuore. Direi un capitolo importante, in parte già scritto magari anche tra alti e bassi, però ancora da scrivere. Faccio un po’ fatica a decifrare questa situazione nuovo, lo ammetto. È un po’ strana, ma stimolante.

Lo confermano anche i tanti messaggi ricevuti...

Mi hanno fatto enorme piacere, perché arrivati persino da fuori Cantù e non necessariamente solo dal mondo della pallacanestro. Persone dell’ambiente e dentro le quinte: non faccio nomi perché sarebbero cento. Ma hanno fatto centro, vuol dire che è stato fatto qualcosa di importante.

Che società lascia?

Ribadito che non me ne vado e che cercherò di raddoppiare gli sforzi, in questo triennio siamo riusciti a far tornare un club sano e credibile. Era l’obiettivo, e qualcuno lo pensava troppo ambizioso vista la situazione, che ci eravamo posti e ce l’abbiamo fatta. Ora abbiamo anche tutte le carte in regola per aderire al piano licenze e alle novità della pallacanestro del domani. Anche l’aver adottato il modello 231 ci pone come uno dei club di riferimento, visto il lavoro sviluppato e centrato. E dietro c’è tutto un lavoro incredibile.

Il momento più buio della sua gestione?

La retrocessione, una ferita aperta. Purtroppo è successa. Sì, questo è il passaggio che più mi ha dato dispiacere.

A proposito di momenti, mai come in questo c’è bisogno di una squadra all’altezza per avere una grande struttura e di un’arena importante per garantirsi una squadra all’altezza...

Forse la parte più difficile. Non sempre, infatti, c’è la percezione di quello che potrebbe essere. Il meccanismo forse è un po’ complicato, ma non c’è dubbio sul fatto che i due destini siano incredibilmente intrecciati.

Come pensate di venirne fuori?

Per ora è stato tenuto un low profile, ma l’argomento palasport sarà il cardine dei prossimi tre anni e da questo progetto uscirà quello che saremo noi fra tre anni e dopo ancora. Lo sviluppo è articolato, forse si fa fatica a spiegarlo. Ecco perché dico che ci vuole pazienza e il tempo per attivare ogni componente utile ad attuare il progetto.

Inevitabile perciò pensare alla nuova arena come l’unica forma per dare un futuro al club.

Se pensiamo a una pallacanestro ai massimi livelli dico di sì. E la nostra scelta è stata fatto guardando a modelli alti. Imprescindibile, dunque, avere una nostra struttura. Non sottovalutiamo il fatto che noi da anni siamo a Desio. E, alla lunga, questa distanza, che non è solo fisica o mentale, può aver contribuito ad allontanare la gente che non sentiva più la squadra come canturina.

Nel frattempo, però, tra società che si poggia su un azionariato popolare e progetto innovativo della nuova arena, siete diventato un unicum. Addirittura un modello.

Un motivo di orgoglio, una soddisfazione anche professionale, che condivido con collaboratori e consulenti. Meriti che vanno equamente suddivisi. Passaggi innovativi, che ci hanno permesso di passare il traguardo per primi. Per questo forse non sempre recepiti. Ma sono traguardi di tappa che ci porteranno all’arrivo e magari a un riconoscimento ex post.

E, di colpo, ancora più importante sarà tornare in A. Quando spera di farlo?

Il prima possibile. Cantù deve stare in A, ma, come insegna la passata stagione, bisogna guadagnarsela, e non è facile. Abbiamo messo a disposizione tutte le forze possibili per attrezzarci al meglio. E con la coppia Sacchetti-Santoro abbiamo un tandem da alta serie A. Speriamo di poter compiere questo salto.

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