Il grande ritorno di Burgess a Cantù. Gli amici, i tifosi, la città: «I’m so happy»

Pallacanestro Uno dei pilastri del “Muro” canturino, 83 anni, ha ritrovato ieri gli ex compagni. La gioia: «Mio nipote ha voluto vedere questi luoghi». Il pranzo con Marzorati, Della Fiori, Farina

«I’m so happy!». Bentornato, Bob Burgess. Un pezzo del “Muro di Cantù” si è materializzato ieri in città. La leggenda del basket canturino, 83 anni, è tornato a Cantù, in visita di piacere. È in vacanza con la famiglia e alcuni amici, in crociera. Ma il nipote ha voluto a tutti costi vedere i luoghi della sua esperienza di cestista in Italia.

Una “reunion” riuscita

È bastata una telefonata della moglie a Pier Luigi Marzorati, ed è stato un attimo radunare a pranzo, al ristorante Capolinea, alcuni ex compagni come Ciccio Della Fiori e Antonio Farina e amici di una vita fa, come Franca Rossi, figlia del cuoco del college che accoglieva giovani e stranieri che transitavano da Cantù. Parliamo di fine anni ’60, una vita fa. Ma il legame è solidissimo. Così come l’italiano di Burgess.

«Sono davvero felice di essere qua, mi tocca sul vivo rivedere questi posti e queste persone. È una grande emozione. Ed è bello essere qui con la mia famiglia, che è in Italia per la prima volta: mio nipote ha voluto a tutti i costi conoscere il posto a cui ero più affezionato nel vostro paese. Ed è Cantù».

La tappa per pranzo è stata anticipata da un salto a Piazza delle Stelle a Cantù per alcune foto e dalla visita in sede: ad accoglierlo Michele Farina, Ciccio Della Fiori e il presidente Roberto Allievi: «Ero molto legato al padre Aldo, che fu mio presidente. Gli Allievi erano una seconda famiglia, passavo con il signor Aldo, la moglie Mariuccia e i figli Roberto e Betty la giornata di Natale», ricorda Burgess.

Passato glorioso

Impossibile non rivivere con un mostro sacro la sua esperienza canturina. Burgess, con Alberto Merlati e Alberto De Simone, ha dato vita al leggendario “Muro di Cantù”, il trio di lunghi inventato da coach Boris Stankovic. Un’intuizione rivoluzionaria che regalò tanti successi, tra cui il primo scudetto all’Oransoda Cantù nel 1968: «Quella squadra era forte, non c’eravamo solo noi tre del “wall”. Ricordo un giovanissimo Marzorati, che a 16 anni veniva chiamato in prima squadra per darci una mano negli allenamenti: era talmente veloce che doveva strattonarlo per fermarlo… Secondo me, se si fosse trasferito negli Usa, sarebbe diventato uno dei migliori playmaker della Nba». Il compagno che ricorda con grande affetto? «Il compianto Tonino Frigerio: non era certamente Michael Jordan, ma aveva una leadership unica, un vero capo nello spogliatoio».

Gli anni passano per tutti, ma il basket è ancora un interesse di Burgess: «Seguo gli europei che vengono in Nba. E poi conosco Mike D’Antoni e suo fratello, che allena alla Marshall University: sono nati a dieci chilometri da casa mia».

Un caffè con Burgess, anche con alcuni tifosi – giovanissimi quando il campione giocava a Cantù, ora con qualche capello bianco – e non sono mancate fotografie, autografi e tanti sorrisi. Prima dei saluti, commossi, e del ritorno a Venezia per riprendere la crociera. Che regalo, grande Bob.

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