«Un passo indietro? Non scherziamo, Meo e Cantù il top»

Devis Cagnardi, neo vice allenatore dell’Acqua S. Bernardo: «Dovremo provare a vincere. Davanti a tutto ci sarà il concetto di squadra»

Attenzione ai passaggi. Perché c’è una differenza più che sostanziale tra il «dovremo provare a far di tutto per vincere» e il «bisogna vincere». Potrebbe trattarsi anche solo di una sfumatura della lingua italiana, ma a Devis Cagnardi, neo assistente di Romeo Sacchetti alla Pallacanestro Cantù, il concetto sta molto a cuore. E lo ripete nella sua prima chiacchierata da biancoblù.

Quarantasette anni, bresciano di Pisogne, sul lago d’Iseo, lascia Agrigento, dove è stato capo allenatore in A2, per questa nuova esperienza.

Coach, Cantù perché?

Sicuramente per il contesto importante sia nella categoria sia nel panorama della pallacanestro italiana. Per la storia, quindi, ma anche e soprattutto per il presente e per il futuro, viste le ambizioni che non nasconde. E poi per una società molto bene attrezzata e che sa dove vuole arrivare.

Cosa l’ha convinta?

Qui c’è gente che mastica basket ad alto livello da sempre, e mi riferisco al management, con Sandro Santoro e Fabrizio Frates in testa. Ed è una cosa che mi ha catturato particolarmente, ancor di più dopo averne parlato con tutti. Poi, la considerazione di Sacchetti, non solo a parole, ma anche nei fatti, e già dalla passata stagione. La cosa mi ha fatto un sacco di piacere.

E quindi?

Direi che mi hanno convinto di poter essere una possibile pedina importante.

Cosa non da poco. Ma quanto le è pesato, dopo anni di cammino sulle proprie gambe, fare un passo indietro?

Onestamente, come allenatore da sempre ho pensato che il progetto arrivi prima del singolo. Una convinzione e una condizione che ho fatte mie a livello professionale e personale. Per questo ho deciso di consegnare tutto me stesso e quanto acquisito fin qui all’allenatore, allo staff, alla nuova società e alla squadra. Provare a vincere non vuol dire voler e dover vincere.

Un cambio di visione importante, anche a queste latitudini...

Ovvio, questo è un posto ambizioso e organizzato e quindi è giusto che ci siano aspettative importanti. E nessuno le toglie all’improvviso. Ma l’importante è mettere il “noi” prima dell’“io”. Dovrà essere il fattore trainante anche di una piazza storica come questa.

Cosa lascia ad Agrigento?

Un’esperienza importante. C’ero già stato tre anni prima, ci sono tornato la scorsa stagione. Lascio una società che mi ha dato la possibilità di lavorare a questo livello e che dunque ringrazio. Un passaggio significativo della mia carriera, con ricordi e situazioni che custodirò anche a livello personale.

Verrebbe voglia, visto come è andata l’anno scorso, di chiederle come si fa a battere Cantù, ma non vorremmo dare dritte alla concorrenza...

Allora non diamogliele...

No, dai. Magari girandoci attorno...

Il campionato di A2 è molto particolare. Pedigree, nomi, forza tecnica contano, ma non sempre. Trovi magari avversarie sotto dimensionate, con tanti giocatori che al massimo livello non sono arrivati o non sono più per età, efficacia, talento, limiti che si portano dietro, carenze o difetti. Però conta la costruzione di una mentalità di squadra. E a questa componente bisogna riservare molta attenzione. Costanza, lotta e intensità ti permettono, a volte, di stare agganciato e quando una partita è punto a punto può succedere di tutto.

Sta mandando dei segnali?

Sto dicendo che a volte anche un squadra battagliera può crearsi una mentalità vincente.

Chi, l’anno scorso, avrebbe tolto a Cantù e a maggior ragione terrebbe oggi in tutte le maniere?

Filippo Baldi Rossi, per il tipo di esperienza e capacità tecniche. Ha qualità interne ed esterne all’area. Per come l’ho visto durante tutta la stagione, perché all’andata contro di noi non giocò per infortunio, può sempre fare la differenza.

Solo lui?

Come si fa, allora, a non dire Stefan Nikolic? Non a caso è stato l’Mvp del campionato, per tutto quello che è riuscito a far vedere. Un’attitudine e un impatto fisici di altissimo livello.

E Sacchetti, visto per ora soltanto da fuori, che effetto le fa?

Innanzitutto c’è da dire che Meo è un personaggio. In un panorama come quello italiano, dove gli allenatori sono mediamente molto preparati, ce ne sono alcuni che ti colpiscono per personalità. Come lui. Prima ti arriva il personaggio, perché il tecnico non si può minimamente mettere in discussione. Un vincente. Uno che ha fatto cose importanti in piazze non di primo piano. Il triplete a Sassari o la Coppa Italia a Cremona, per intendersi, non sono certo imprese scontate.

E lei è stato subito colpito...

Come non esserlo? È stato giocatore di altissimo livello, tecnico di altissimo livello e nostro ct della Nazionale: te ne accorgi a pelle di come alone e nome ti arrivino ancora prima di incrociarlo.

Tra l’altro per lei, e in tempi non sospetti, ha avuto sempre parole al miele.

Anche stavolta, come allora, è stato molto cordiale dal punto di vista umano. Da quello tecnico, mi ha fato subito sentire una prima scelta. Sua e della società. E ha fatto tutta la differenza del mondo. Anche in quell’ottica ci cui si parlava prima, cioè di tornare a fare l’assistente dopo gli ani da capo allenatore.

Scelta che lei come ha vissuto?

Come un passo in avanti, e non indietro. Situazione che si equilibrerà, ne sono certo, con una serie di emozioni e situazioni che, oltre a essere personali, saranno anche di gruppo e di squadra.

Ritrova Frates?

Vero. A Reggio Emilia allenavo le giovanili e lui mi volle in prima squadra appena arrivato. Ho avuto già modo di conoscerlo bene.

E a livello di pressione (intesa come Cantù e non arteriosa...)?

C’è in tutte le piazze appassionate come questa. Farà la differenza l’attitudine della squadra. Qui so di trovare una qualità di passione e di conoscenze molto alte. Ne terremo conto. Soprattutto cercando di avere, magari, un profilo un po’ meno aristocratico, ma con uno spirito più battagliero.

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