Pedretti, il preparatore di Cantù
«Negativo non significa pronto»

Il non facile recupero dopo il virus: «Ogni giocatore risponde a suo modo»

«Stiamo vivendo alla giornata, in attesa che i tamponi dopo averci “restituito” Smith ci riconsegnino subito almeno Bayehe e La Torre (l’esito dei test molecolari per loro due così come per i sin qui sempre negativi Woodard e Kennedy è atteso nella giornata odierna, ndr), in modo tale che un minimo di giocatori possa finalmente tornare ad allenarsi insieme in palestra». Oscar Pedretti è il preparatore fisico dell’Acqua S.Bernardo e dunque sarà di sua competenza riportare a un’adeguata forma atletica i giocatori biancoblù ormai fermi da tempo.

«In questi giorni, sia coloro che sono in quarantena e lavorano da casa sia quelli che si allenano in palestra senza tuttavia sedute di contatto - osserva Pedretti - stanno tutti mostrando grande disponibilità. Ciascuno è costantemente monitorato e il questionario giornaliero che sin da inizio stagione stiamo facendo loro compilare, in un contesto del genere assume ancor maggior rilevanza. Ma le risposte agli sforzi non possono essere simili perché ognuno si trova in una condizione diversa dall’altro. Per questo dicevo che viviamo alla giornata, anche perché in prospettiva non è “solo” la malattia in sé a dover essere tenuta in considerazione, ma soprattutto gli eventuali strascichi che comporterà».

Sta dicendo che la ripresa della preparazione potrebbe tramutarsi in un rebus, facendo difetto alla materia la giurisprudenza? «Proprio così. Ad esempio, uno dei sintomi è la stanchezza. E allora chi ci garantisce che il recupero tra un allenamento e l’altro sarà lo stesso di prima? Per qualcuno potrebbe anche essere che tale recupero sarà più lento. Di certo il rientro all’attività e al top della condizione dovrà essere graduale perché ci sono troppi aspetti da definire e chiarire. Un altro concetto che non deve passare è che “negativo” sia uguale a “pronto”. Non è infatti propriamente così, ma più complesso di quello che può sembrare, anche perché parliamo di uno stop medio di un paio di settimane. Insomma, diventa opportuno ricalibrare e ritarare la preparazione quando si riprenderà».

Praticamente quasi tutti i vostri giocatori si sono contagiati, mentre per ora il virus non ha attecchito in chi sta loro quotidianamente attorno, come staff tecnico, staff medico, dirigenti e così via. Come se lo spiega? «Sicuramente il contatto fa la differenza e chi più di un giocatore di basket ha contatti stretti che definirei obbligatori durante gli allenamenti, a partire dalle partitelle? Quanto a noi altri, non c’è ovviamente la possibilità di annullare il rischio, ma di abbassarlo questo sì. E questo anche grazie a un vero fuoriclasse qual è il nostro “capitano” Federico Casamassima (il responsabile dello staff medico, ndr) che alle indiscutibili doti professionali e alla riconosciuta competenza abbina qualità umane davvero super. Lui è il nostro faro ed è giusto dare a Cesare quel che è di Cesare, anche se in questo caso non si tratta di coach Pancotto...».

Il suo ruolo è comunque delicato in tempo di pandemia, essendo lei da una parte punto di raccordo con gli staff tecnici e medici e dall’altra l’interfaccia con i giocatori. «Sin sa subito mi sono messo praticamente in quarantena volontaria, evitando ogni tipo di uscita proprio per ragioni di correttezza oltre che di protezione nei riguardi di chi mi sta attorno. A livello professionale, invece, è cambiato poco nulla, nel senso che le mascherine le ho sempre usate in palestra, così come ho continuato a indossare i guanti anche quando il protocollo non lo prevedeva più. E in sala pesi provvedo ripetutamente a igienizzare tutto».

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