Recalcati, due medaglie
Atene e Mannion

Diciassette anni dopo, l’Italia del basket è pronta a rivivere quelle notti magiche dopo tanti alti e bassi in campo internazionale

Non poteva che essere un totem del basket canturino l’ultimo… canturino ad aver messo piede alle Olimpiadi con una squadra di basket. Carlo Recalcati era il ct dell’ultima Italia olimpica, quella in gara e medagliata ad Atene 2004. Diciassette anni dopo, l’Italia del basket è pronta a rivivere quelle notti magiche dopo tanti alti e bassi in campo internazionale. A casa, avrà un tifoso speciale come “Charlie”.

Recalcati, quanto conta questo ritorno dell’Italia alle Olimpiadi?

Come nel 2004, oggi conta soprattutto esserci con la speranza di poter fare risultato. La vittoria del preolimpico è un toccasana per tutto il movimento, che vive un momento così così.

La Nazionale a Tokyo vale quindi più di Milano in Eurolega?

Sì, perché le Olimpiadi sono una vetrina che permette a tutti, senza complicazioni, di vedere un determinato sport. Anche chi non è appassionato può vedere il basket. Chi assiste ai Mondiali o a una finale di Eurolega è un tifoso, uno che il basket lo segue già. Alle Olimpiadi il gioco cambia: è il modo migliore per accalappiare spettatori, tifosi e, magari, bambini che si appassionino a questo sport.

Le piace questa Nazionale?

Sì, perché è giovane e ha un futuro.

Che margini ha questo gruppo?

Le Olimpiadi non devono essere un punto di arrivo, ma di partenza. Ci sono giocatori con un domani e un futuro interessante. Anche se non farà risultato, la Nazionale avrà altre occasioni per vincere: l’anno prossimo ci saranno gli Europei, poi arriveranno i Mondiali. E, ovviamente, le prossime Olimpiadi.

A questo gruppo poi è anche un po’ affezionato…

Gallinari fui il primo a portarlo in Nazionale: lo convocai per gli All Star Games del 2006, vinse la gara del tiro da 3 battendo lo statunitense di Cantù, Mike Jordan. Nelle squadre di club ho allenato a Venezia Tonut. E poi, indirettamente, ho allenato anche Mannion…

In che senso?

Scherzando, dico che se non avessi avuto l’intuizione, nel lontano 1989, di portare il padre Pace a Cantù, Nico non sarebbe nato in Italia e, parafrasando il mio amico Frates, paradossalmente l’Italia magari non sarebbe a Tokyo, visto che contro la Serbia è stato un trascinatore.

Anche Pace è d’accordo su questa “tesi”?

Certamente, non manca mai di ricordare questa storiella divertente.

Che ricordi ha delle Olimpiadi?

Ne ho disputate due da giocatore, nel 1968 e nel 1976, saltando quelle del 1972 per un taglio all’ultimo minuto…

E da coach?

Io ho nel cuore l’atmosfera unica e incredibile. Ripenso all’emozione della sfilata in mondovisione nel 2004 e alla condivisione di spazi e sensazioni con i grandi campioni dello sport. Ma penso anche alle “ristrettezze” a cui ti impone la vita olimpica.

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