Angiuoni: «Furibondi loro?
La sentenza non l’ho emessa io»

La querelle continua: l’ex presidente vuole replicare alle critiche espresse nei suoi confronti

Non riesce a mettersi il cuore in pace, Enzo Angiuoni. Dopo l’uragano che la sua causa ha portato sulla società, dopo aver letto e captato anche il risentimento nei suoi confronti da parte della dirigenza del Como, l’ex presidente vuole precisare ancora quello che è successo. E interviene con una sorta di lettera aperta, «ai tifosi e alla città, perchè è giusto che le cose si sappiano esattamente».

Peraltro, Angiuoni ha già avuto modo più volte di illustrare la sua posizione. «La mia richiesta al Tribunale è stata mossa solo per tutelare e difendere i miei interessi, e ne avevo pieno diritto. Da presidente dilettante, ma permettetemelo da persona onesta e da signore quale ritengo di essere sempre stato, ho comprato a suo tempo personalmente da Barzaghi - che ne era entrato in possesso dopo il fallimento, ndr - il centro di Orsenigo. L’ho comprato io, senza nè Rivetti nè di Bari, ai quali ho successivamente ceduto le rispettive quote. L’ho fatto io, di mia iniziativa, da presidente e da imprenditore. Perchè ritenevo giusto che il Como avesse di nuovo il suo centro di proprietà, che aveva avuto per decenni. Non ho intestato Orsenigo a me, anche se avrei potuto farlo. Ma l’ho intestato al Calcio Como. Ma per poter concretizzare questo acquisto, per poter accendere il mutuo, sono state necessarie delle garanzie. Che sono state messe da noi soci, per quanto mi riguarda allora per 900.000 euro. Le rate del mutuo di Orsenigo sono sempre state regolarmente pagate da chi gestiva la società. Anche dopo la mia uscita di scena hanno sempre pagato tutti. Hanno smesso loro quando due anni fa hanno girato il centro alla loro società, la S3C, lasciando me a garantire un debito su un bene che non è nemmeno più del Como...».

« E vorrei anche dire - racconta ancora Angiuoni - che nei mesi in cui è andata avanti questa causa, abbiamo avuto quattro udienze. Io mi sono regolarmente presentato, loro una volta sola. Che erano state richieste delle garanzie e delle carte con cui si potevano sistemare le cose, ci si poteva accordare e io ero disponibile: sono loro a non averle prodotte. Io davanti al giudice c’ero quando sono scaduti i termini. Io c’ero, loro non c’erano. E loro si dicono furibondi con me, e che se potessero mi impedirebbero di andare allo stadio? Non ho mosso questa situazione per fare del male al Como. E le conseguenze di tutto questo non dipendono da me, che ho solo difeso un mio diritto. Ero pronto ad accordarmi, se loro avessero fatto quello che il giudice richiedeva nei tempi giusti. La sentenza non l’ho emessa io, ma un Tribunale, sulla base di quello che ha visto e valutato. E non c’entro io nella loro situazione economica, nè tantomeno mi fa piacere quello che è successo. Allo stadio verrò quando potrò, perchè sono tifoso e nessuno ha il diritto di lasciarmi fuori».

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