Dottor Dennis e Mister Wise
La furia blu (e non solo Como)

La storia del Ceo di viale Sinigaglia, uno dei monumenti nella storia del Chelsea e della Premier League

Abbiamo capito davvero chi è Dennis Wise? Quanto abbiamo compreso il personaggio a tutto tondo? Ce lo chiedevamo ieri seguendolo passo passo nella sua passeggiata in centro città, il tragitto a piedi tra il Comune e lo stadio.

L’abito informale (i suoi colleghi di società in giacca per affrontare i dirigenti del Comune, lui t-shirt blu, pantaloni sportivi, scarpe da ginnastica, una matita infilata nel retro dei pantaloni), la perenne espressione di uno in gita scolastica, il ghigno sempre uguale, dietro il quale non sai mai se c’è un pensiero luciferino, la voglia di mandarti a quel paese o semplicemente il divertimento ad essere Dennis Wise. Mr. Denis e Dr. Wise, come lo chiama(va)no in Inghilterra per via dei suoi passaggi repentini dai colpi da maestro, dagli atteggiamenti affidabili da condottiero, alle pazzie, alle follie, ai balzi d’umore fuori di testa. Ieri, mica perché ci credevamo davvero, diciamo così per sport, gli abbiamo chiesto ancora: scusi Wise, perché non vuole parlare? Ci ha risposto con un sorriso diabolico e disarmante. «No needs». «Non serve».

Sapete cosa vuol dire Wise in inglese? Saggio. Che fa un po’ ridere, ma forse no. Non avesse della saggezza dentro di sè, non avrebbe avuto fasce di capitano, ruoli di allenatore o da dirigente, stima di allenatori e compagni, del ct della nazionale. Eppure poi ha spesso ha esagerato, rischiando il carcere per rissa, essendo sempre troppo aggressivo, troppo irruento.

Divertendosi da morire a essere Dennis Wise. Questo è il punto. Beato lui, verrebbe da dire. Noi di Wise non sappiamo nulla. Ricostruiamo dalla letteratura inglese che ha spiegato mille volte (o a provato a farlo) le pieghe del suo carattere. E per questo garantendosi il fastidio di Wise stesso. D’altra parte nascere a Kensington nel pieno dei 60s era un’esperienza tutta diversa rispetto all’eleganza e alla ricchezza che sono mostrate al giorno d’oggi nel quartiere, trasmetteva quasi geneticamente nei suoi abitanti la necessità di un’aperta e perpetua ribellione contro lo status quo.

Ha fatto cose grandi. Ha vinto molto con il Chelsea (Due FA Cup, una Coppa di Lega, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa Europea assieme a Zola, Vialli, Gullit), la sua squadra del cuore, ma ci era arrivato dopo aver vinto una FA Cup con il piccolo Wimbledon, battendo in finale il Liverpool, al comando di un gruppo di giocatori chiamato la “Crazy Gang”: Eric Young, John Fashanu, Dave Besant, Vinnie Jones, gente dura dentro e fuori il campo. Tiriamo a indovinare? Il portiere Beasant a volte faceva assist da gol tirando da campo a campo, la stessa cosa che si è vista quest’anno qualche volta al Como: vuoi vedere che qui c’era il suo zampino?

Lui era il simbolo della aggressività, del cuore oltre l’ostacolo, anche troppo. In campo, irriducibile. I suoi litigi con Vieira sono leggendari, uno più alto di lui di 20 cm, eppure c’è una famosa foto di lui che gli tiene testa fronte contro mento tipo Ibra-Lukaku. Dopo la FA Cup con il Chelsea, usò il coperchio della coppa come cappello, cosa che qualcuno definì irriverente. Molti di voi avranno letto della volta che colpì con un pugno un taxista e dell’altra volta che venne fatto fuori dal Leicester perché (pare durante la notte mentre il compagno era steso tranquillamente letto: possibile?) ruppe la mascella con un pugno a Callum Davidson, o della volta che stese un tifoso che aveva invaso il campo. Ma la sua impresa più bella forse fu portare in finale di FA Cup il Millwall da allenatore giocatore. Dopo che era andato via dal Chelsea perché Ranieri non lo faceva giocare.

Innamorato dell’azzurro Chelsea, ora ha un altro azzurro addosso. E non pensate di fargli paura. Lui non ha paura di niente. Come il motto del Millwall: “No one likes us, we’re the Millwall and we don’t care”. Si diverte solo, tremendamente, ad essere Dennis Wise. Volete che uno come lui non stia pensando al Como in serie A?

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