Cantù, la Juventus e il Mino
E una A riconquistata con i riti

Rievochiamo la magnifica cavalcata della squadra di Dado Lombardi

Il gruppo? Fondamentale. I giocatori forti? Necessari se si vuole vincere. Ma ci sono fattori che possono dare una spinta decisiva per trasformare una stagione da normale a straordinaria. Certo, le persone fanno tanto. Scaramanzie, riti, gesti ripetuti, coesione: tutti fronzoli, direbbe qualcuno.

Ma per l’ultimo allenatore capace di portare Cantù in serie A dalla A2 nel 1996, il compianto Gianfranco “Dado” Lombardi – scomparso sei mesi fa -, la ripetizione di certi gesti era sacra. Quasi più di un allenamento ben fatto. E gli aneddoti di quella trionfale stagione sono decine… Chi c’era, sa tutto.

Il suo arrivo al posto di Giancarlo Sacco scombussolò, in senso positivo, uno spogliatoio messo a dura prova dai primi non esaltanti risultati. Una situazione che non poteva andar bene a un presidente vulcanico come Franco Polti. Che esonerò coach Sacco negli spogliatoi: «Mister, avrei due cose da dire! Ma io sono il coach (la risposta di Sacco)… No, lei non è nemmeno il coach, perché è licenziato…».

Iniziò così l’era Lombardi, uomo dalla personalità spiccata in una società guidata da un presidente non da meno, in quanto a carattere. Ma andarono d’accordo, sulla scia dei grandi risultati. Ottenuti, sempre secondo la versione di Lombardi, grazie a una dose smisurata di scaramanzia, a cui era attentissimo fino all’ossessione. Mai sullo stesso pullmino in tredici, il coach doveva essere il primo del gruppo a mangiare il piatto di pasta scondita.

E quella volta che Eros Buratti finse – d’accordo con tutto lo staff - un infortunio il giorno prima di una partita, Lombardi non si arrese all’evidenza dei fatti: schiumava di rabbia, ma in silenzio. Per poi, una volta scoperto l’inganno, lasciarsi andare: «Avevo capito tutto, ma vi ho tenuto il gioco…»

Aneddoti

Altri aneddoti e curiosità: al Pianella, il primo che doveva entrare in campo per gli allenamenti era il custode Mino, solo dopo il suo ingresso poteva entrare il resto del gruppo. Altro rito immancabile, tre scambi di palla tra Lombardi e Zorzolo prima di dare il via all’allenamento. Il portafortuna del gruppo era Dionigi Cappelletti: per un impegno familiare fu costretto a saltare la trasferta di Forlì. Lombardi non la prese bene.

Gestione

A dir poco surreale la gestione delle partite. Se, per esempio, il coach prevedeva di vincere di 10, in caso di vantaggio di 20 punti operava cambi che avrebbero fatto abbassare il punteggio. Pazzia? No, “solo” pieno controllo della situazione e consapevolezza di guidare una macchina quasi perfetta, che lui seppe riavviare sistemando alcune pedine.

Altro collante di quella stagione fu la “juventinità” di quel gruppo: a partire dal presidente Polti, tanti in squadra tifavano bianconero e fu un particolare che contribuì a cementare il team. Un gruppo di italiani forti (Rossini, Zorzolo, Buratti, Gianolla, Binotto per citare i primi) a cui fu aggiunto il grande Bailey, ancora oggi un idolo tra i tifosi degli Utah Jazz. Un extraterrestre che si ambientò alla grande in Brianza. E che, prima di fare la valigie, regalò a tutto lo staff una busta con un regalo in denaro. Qualche anno dopo, Bailey tornò e il Mino non lo riconobbe al Pianella: «C’è qua fuori uno che vuole entrare, ma gli ho detto che siamo chiusi…».

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