I baby ciclisti e le piste
Ripartire sarà difficile

Inchiesta sul mondo del ciclismo giovanile ai tempi del coronavirus

Non sono in molti, in provincia di Como, ad avere una pista vera e propria lungo la quale far allenare i propri giovani corridori. Ce l’ha la Remo Calzolari a Faloppio, un nastro rosso in gestione da una dozzina d’anni (e che lo resterà fin quasi alla chiusura del decennio in corso), ce l’ha Alzate Brianza, nel centro sportivo del paese. Il resto delle formazioni della categoria Giovanissimi (oltre alle due citate ci sono Marianese, Cassina Rizzardi, Carbonate, Locate Varesino e KmZero) si arrangia da sempre come può, sfruttando spazi pubblici non riservati alla disciplina per mantenere in vita un movimento che nel comasco conta un centinaio di giovanissimi corridori.

Allenarsi, in questo momento storico, è difficile. Benché FederCiclismo Como abbia diffuso le linee guida proposte dalla federazione nazionale, infatti, utilizzare le piste non sarà immediato, né semplice per le società che ne dovranno curare la gestione. Il protocollo da seguire prevede una serie importante di incombenze da porre in essere tra spazi da delimitare, protezioni da attuare e limitazioni nel numero di ragazzi da allenare. Con queste condizioni, e in assenza di un calendario per cui prepararsi, la ripresa sarà tutt’altro che semplice.

«Attuare il protocollo previsto – spiega Christian Rigamonti, vicepresidente vicario di FederCiclismo Como e responsabile del settore Giovanissimi del Gs Alzate – è difficile. E’ chiaro che se ci fosse un obiettivo per cui mettersi in ballo lo faremmo. Così, senza avere un’ipotesi di calendario e senza nemmeno sapere se la stagione ripartirà, e soprattutto in che modo, non ha senso mettersi in moto».

Nessuno, beninteso, contesta le prescrizioni. «Le regole sono giuste, intendiamoci. Per il settore giovanile, però, sono troppo restrittive per essere poste in essere così come sono state pensate ora. Parliamo di bambini dai sette anni in poi», continua.

Tra pista vera e propria, area tecnica e spazio per gli accompagnatori, già suddividere bene i luoghi non sarebbe affare semplice. Garantire la sanificazione delle biciclette, verificare la salute dei bambini, vigilare sul rispetto dell’utilizzo dei dispositivi di sicurezza e quant’altro, alla conta dei fatti, significherebbe poi impegnare davvero tante persone, specie perché a oggi, in Lombardia, in pista ci possono entrare soltanto quattro atleti alla volta. C’è poi tutto il capitolo delle responsabilità, questione delicata perché potrebbe far ricadere sulle società, e quindi sui dirigenti, l’onere del mancato rispetto dei criteri stabiliti.

«Con 26 ragazzi che debbono allenarsi, entrare a gruppi di quattro significa impegnare davvero tante ore. Siccome il ciclismo giovanile è fatto di volontari, ossia di persone che lavorano in altri settori, ci vorrebbero davvero tante risorse, troppe per le disponibilità reali. L’idea è quella di attendere ancora qualche settimana per capire se, nel frattempo, le condizioni generali cambieranno e, conseguentemente, si potrà non solo ripartire con le gare, ma anche allentare un po’ le restrizioni che mettono in difficoltà la gestione degli allenamenti. Speriamo», conclude Rigamonti.

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