Maratona, le pedalate nel mito
Trentasei i comaschi al via

Domenica si rinnova la meraviglia nel bel mezzo delle Dolomiti

C’è un quadro ancora da finire, su quei monti che chiamarli semplicemente monti è quasi un sacrilegio. Visto che, quelle Dolomiti lì dell’alta Badia, sono loro stesse un’opera d’arte della natura e neppure la mano avida e narcisa dell’uomo è ancora riuscita a deturparle. Ebbene, su quei passi che svettano a duemila metri di quota, domenica mattina, transiterà un esercito di seimila biciclette per l’edizione numero 34 della Maratona Dles Dolomites, la più importante corsa amatoriale di ciclismo, che ha come slogan proprio Ert, arte, in ladino.

Tre percorsi

Partenza da La Villa, arrivo a Corvara in Badia e una sfilza di nomi che fanno scendere i brividi lungo la schiena a coloro che masticano pane e biciclette: Campolongo, Pordoi, Sella, Gardena, Falzarego, Giau, Valparola. Chilometri e chilometri di salita – tre percorsi, il più lungo di 138 chilometri supera un dislivello di quattromila metri – in uno scenario unico, per un giorno vietato al rombo dei motori e agli scarichi delle automobili.

Solo tante gambe, un po’ di testa, la giusta dose di cuore e occhi spalancati – ma spalancati proprio - davanti a tanta meraviglia del creato. Pareti a picco illuminate dal sole che diventano di uno struggente colore rosa. Monumenti di pietra che faranno dimenticare quello che tutti noi abbiamo passato da due anni a questa parte, quando alla voce Covid nessuno sapeva abbinare un significato di senso compiuto.

Già, la pandemia. Lo scorso anno la Maratona ha alzato bandiera bianca con largo anticipo, non appena si era capito che non era cosa da fare. Un passo indietro per farne due in avanti, scriverebbero quelli bravi.

E infatti la Maratona è tornata riducendo il numero dei partecipanti – da novemila a seimila, a fronte di oltre 31mila richieste – introducendo una serie di precauzioni sanitarie, a partire dalle mascherine da tenere fino a trenta secondi dalla partenza e subito dopo l’arrivo. Ma ritrovando intatto il suo fascino antico, fatto di un ciclismo che per molti rischierà di essere addirittura epico.

Sono 36 i cicloamatori di Como che sono stati sorteggiati per partecipare. Tra loro – era una promessa vecchia di due anni fa – Enrico Dell’Acqua, classe 1942, di Cantù, simbolo vivente di quello che possono fare i trapiantati quando vengono messi su una bicicletta. E, ancora, Giulio Gridavilla, medico veterinario classe 1951 di Cantù, conosciutissimo per una passione infinita e una vagonata di chilometri macinati l’uno dietro l’altro con il sorriso sulle labbra. Ma il più giovane della pattuglia sarà invece Andrea Colombini, classe 1990, di Cagno.

E’ formata da 29 elementi la pattuglia di Lecco con Filippo Beretta, classe 1996, di Ello che si porta a casa la simbolica palma del più giovane. Sei anni in meno di Samuele Fransci, di Delebio, classe 1990 che guida i venti valtellinesi che si schiereranno al via. Ci sono uomini e ci sono donne anche se, curiosamente, sarà soltanto una la comasca in gara: Ilaria Custodi, della Ciclistica Erbese, classe 1979.

La bellezza

Dice Michil Costa, il creatore di questa corsa ciclistica– albergatore illuminato che parla di filosofia con la stessa disinvoltura utilizzata per raccontare la dolcezza delle fragole del suo giardino – che «l’uomo ha un’urgenza profonda, primordiale, di stupirsi di fronte all’incompreso e di essere coinvolto nella bellezza di un qualcosa che va oltre l’umano». Non sbaglia, naturalmente. Ma, almeno per la domenica che sta arrivando, saranno almeno in seimila – provenienti da ogni parte del mondo – ad essere partecipi di questa opera d’arte. E se tutto ciò si renderà possibile, sarà soltanto grazie al suono senza rumore delle biciclette.

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