«Tifo per Ballerini e il “mio” Lombardia deve arrivare a Como»

L’ex ciclista Luca Paolini: «Faccio fatica a dare giudizi: questo sport è cambiato molto»

Quattro ciacole al bar, parlando di Giro di Lombardia. Con chi? Con Luca Paolini. Non un parere qualunque: l’ex professionista di Faloppio ha indossato la maglia rosa per cinque giorni al Giro d’Italia, è stato regista in corsa della Nazionale (e anche in ammiraglia), ha vinto la Gand Wevelgem (una classica del Nord), è stato quarto al Lombardia. Ha smesso nel 2015 e oggi mette a punto le biciclette della casa svizzera Swi di cui è tester ufficiale.

Ciao Luca. Pronto per il Lombardia?

Prontissimo. Una delle corse magiche.

Anche se arriva a Bergamo?

Un po’ meno magica... (ride, ndr).

Fortunato ha detto che la versione senza Muro è meno impegnativa dell’arrivo a Bergamo.

Ok, ma il ciclismo non è solo valore tecnico. Il fascino dell’arrivo a Como, le inquadrature del paesaggio, il pathos non hanno paragoni. Lo sanno tutti. Poi, per carità: anche la versione bergamasca è una bella gara. Però...

Tu hai fatto quarto nel 2009.

Vinse Gilbert. Potevo giocarmi il podio, mi sono infilato in volata ma Cunego, che non ne aveva più, mi ha inavvertitamente stretto vicino alle transenne e ho perso il terzo posto. Un rimpianto di meno, però.

In che senso?

Molti mi chiedono dei miei risultati, del prestigio di aver fatto tanti podi in gare importanti. Ma io ti dico che ogni podio che ho fatto, al Mondiale piuttosto che alla Milano-Sanremo, sono una spina nel fianco, perché da un lato c’è la soddisfazione per il risultato, ma dall’altra il rimpianto per una mancata vittoria. E forse vince il secondo sentimento...

Chi vince il Lombardia?

Non lo so. Ormai qui a ogni gara c’è una bagarre tra fenomeni. Pogachar, Evenepoel, Roglic, Van Aert, Van der Poel, Alaphilippe...

Chi preferisci?

Nessuno, nel senso che questi campioni puoi solo ammirarli e basta. Sono tutti bravi, tutti fortissimi. Vinca il migliore.

Guardi ancora le gare in tv?

Ho visto le classiche, il Giro poco perché il percorso non mi piaceva granché. Ho visto tutto il Tour, la Vuelta no. Non la vedevo prima e non vedo adesso.

Vai alle corse o le vedi in tv?

Le vedo in tv.

E al Lombardia verrai?

Credo di sì. Un saltino lo faccio volentieri.

Che ciclismo è, questo?

Mi hai chiesto chi preferisco tra i big, ma non rispondo anche perché faccio fatica a giudicare. Perché è un ciclismo molto diverso da quello che ho frequentato io.

In che senso?

Diversa la preparazione e la tattica delle gare, diverse le strategie. Adesso partono a tutta a ogni gara, anche alle tappe dei grandi giri, come se ci fosse l’arrivo dietro l’angolo. Poi, magari, rallentano nella seconda fase. E’ tutto troppo programmato, e da fuori hai difficoltà a capire cosa sta succedendo. Tutti vanno secondo la programmazione del computer. Seguono una traccia. A un Giro magari ti dicono che alla tappa 3, 7, 10 e 15 devi staccarti, perché in altre tappe c’è bisogno di spingere. Se ti senti bene quel giorno e vai, magari trovi la squadra con il muso lungo che ti aspetta. Io andavo più a intuito. Ho testimonianze dirette.

Tipo?

Ho parlato con Nibali l’anno scorso, mi ha detto: vado 30 watt più forte ma non sto nei trenta. Sagan non riesce più a tirare fuori una prestazione. La differenza la fa anche come arrivi al professionismo. Noi correvamo e basta, adesso sin dagli allievi chiedono il supporto del computer per verificare il consumo di energia. Arrivano che sono dei robot, fanno paura.

Qual è stato il giorno più bello della tua carriera?

Quando ho conquistato la maglia rosa al Giro. Mio papà era stato male in gennaio, ma io avevo dovuto partire per un ritiro in Argentina. Al Giro stava meglio, e io gli ho dedicato quella maglia.

A Como c’è Davide Ballerini che molti vedevano come il tuo erede.?

Io sono un tifoso di Ballerini. Usciamo ogni tanto assieme ad allenarci. Anche secondo me un po’ mi assomiglia. Può ancora fare cose importanti. Deve sbrigarsi, perché qui a 33 anni fai fatica con questi fenomeni. Adesso andrà all’Astana, potrà fare bene.

Ha esultato come te: indicando testa e cuore.

Dite che mi ha imitato? Beh, siamo due ruspanti...

Perché ti chiamavano Gerva?

Perché imitavo Gervasoni di Aldo Giovanni e Giacomo così bene che ogni volta a tavola mi chiedevano i bis.

Tuo figlio, 12 anni, non fa ciclismo?

Per fortuna no. Temo che avrei paura. Fa calcio.

Smanetti ancora con i motori?

Mi sono calmato, vado in pista più raramente. Ma la passione resta e ho diversi amici nei motori. Tipo Lorenzo Mauri.

Il titolare del Team Motocorsa?

Sì, pensa che eravamo compagni di scuola al Casnati a Como. Adesso mi mette a posto la moto per girare in pista...

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