Partita, sorriso, rientro verso un’altra pagina del libro, integralmente da scrivere: la domenica di Nicola Laurenza è familiare, com’è peraltro stato il viaggio in Campania, speso con Alessandra e bimbo Leonardo. Una stoccata e fuga chiamata Avellino, portatrice sana di pensieri costruttivi.
«Che ambiente»
Interno giorno, salotto. Lo schermo trasmette gli scampoli di Sassuolo-Inter, imbarazzante per i neroverdi. Re Nicola è lì: «Mi spiace tremendamente per Pucio, tifavo per lui… ma lo 0-7 spiega a sufficienza».
Pucino ha scelto la parte sbagliata per entrare dentro un tabellino di A: l’autogol. Non avere paura Raffaele, il coraggio non ti manca.
Avellino, trasferta di famiglia: «Mia moglie soffre troppo a stare a casa, quindi partecipa ogni volta che può. È la seconda volta con lei e Leonardo, la prima a Castellammare per la Coppa Italia». Trasferta di stretta di mano: «È stato bello e ringrazio il presidente Walter Taccone, mi ha ricevuto da padrone di casa come nessun’altro finora. Ho scoperto un uomo squisito e un pubblico coinvolgente, istruttivo farsi raccontare il percorso dalla rifondazione del 2009 alla B, con tre promozioni. Indicava orgoglioso la curva: “Vedi? Là in D c’erano 100 persone, adesso invece è piena”».
Convergenza: «Sta cercando di cambiare il modo di vivere il calcio ad Avellino, sembra ci stia riuscendo ed è lodevole. Gli ho augurato un grande campionato, tranne le partite con noi».
«Sotto la curva»
A perdifiato, dagli appassionati varesini nonostante le stampelle: «Ogni volta che riuscirò a corrompere i commissari di campo, andrò a rendere omaggio ai nostri tifosi. A Cesena e Castellammare non ci sono riuscito, a Latina ed Avellino sì: andare sotto al loro settore è una forma di rispetto, un omaggio a chi si spara ore e ore di viaggio. Farlo mi dà la carica e sono convinto esalti anche loro, la squadra ha bisogno di calore».
La partita: «Soddisfatto, ottimo primo tempo ma nel secondo ci hanno messo sotto. Potevamo perdere, fosse finita 2-1 non avremmo potuto accampare scuse. Lode al gruppo che ha tenuto, l’Avellino ha mostrato di che pasta è fatto. Assolutamente contento anche delle prime cinque giornate, portare avanti una linea verde implica pazienza: sono tranquillo, il campionato non lo considero di 42 partite, ma 46 o magari 47, visto le nuove regole playoff».
A proposito di stampelle: «Il crociato non è rotto, il tono muscolare buono mi ha salvato dal crac vero». Da un ex canottiere difficile attendersi altro. Promessa a se stesso: «Un paio di mesi e torno a giocare, mi manca il calcetto del giovedì».
«Ragazzi emozionati»
Oggi termina la campagna abbonamenti, oltre cima 2.000: «È una quota onesta dalla quale partire. Ogni situazione è il prodotto del passato che l’ha creata: un Varese privo di temperamento esaltante ha sicuramente allontanato. Parlando di 3.000 tessere ho fatto agonismo dialettico, alzando l’asticella: sapevo sarebbe stato impossibile, ma era mio compito spingere».
Luce oltre la nube: «Sono certo che questa squadra riavvicinerà, perché sa emozionare, è tornata a parlare occhi negli occhi. Sono felicissimo, voglio sperare sia anche stato merito del mio temperamento: mi riconosco nel gruppo, a loro chiedo di affrontare gli ostacoli con convinzione e leggerezza, proprio come faccio io nella mia vita».
Prosegue il tour presidenziale: «Volevo andare nei distinti già con il Pescara, mi scuso per non esserci riuscito. Per Varese-Reggina sarò lì, voglioso di abbracciare un altro pezzo di Franco Ossola, di capire le sue richieste e le sue necessità».