Quando il Palasampietro
era una sorta di Maracanà

La struttura oggi intitolata a Francescucci ospiterà Libertas e Tecnoteam. E forse anche la Pallacanestro Cantù

«Nella prima finale scudetto giocata al PalaSampietro, dopo quella vinta al Pianella, mi ero trovato in difficoltà. Avevamo fatto la prevendita in Negretti, e c’era la coda di tifosi che arrivava fino in piazza del Popolo. Allora per farci stare tutti al palazzetto avevamo montato delle tribunette in alto. Era tutto pieno. C’era gente in piedi lungo le gradinate. La capienza era di 1980 spettatori, ma se devo dirla tutta, quella volta ne entrarono 2900. Altri tempi !» ricorda lo storico segretario Stefano Daverio.

E già. Altri tempi anche per la gloriosa casa della Comense. Oggi tornata d’attualità con la pallavolo (la serie A2 di Cantù e Albese: ben vengano dei campionati importanti, a patto che non ci si dimentichi che il palazzetto di Casnate è stato affittato dal Comune di Como per ospitare le società del capoluogo, visto che in convalle non ci sono impianti). Ma che per sempre è stato il tempio della Comense e del basket femminile in Italia e nel mondo.

«Era come se fossimo a casa nostra – fa presente Viviana Ballabio, la mitica capitana nerostellata -. Tanto per dire, nel nostro spogliatoio non entrava nessun altro, potevamo lasciare lì tutte le nostre cose. Potevamo fare allenamento in qualsiasi orario, i pomeriggi in sala video, i pesi. Questo era avere un palazzetto di proprietà. Eravamo stati ospiti ad Alzate e Cucciago, e prima ancora a Muggiò, ma quando venne costruito il PalaSampietro fu come entrare nel salotto di casa nostra. Merito anche di Angelo Migliavada che l’ha tenuto come un gioiello. Esteticamente, con sua la forma arcuata, le grandi vetrate, è uno spettacolo ed è della dimensione giusta. Uno dei più belli dove ho giocato».

Il palazzetto venne costruito dalla Comense tra ottobre 1989 e dicembre 1990. «I primi anni era strapieno – continua l’ex numero 10 -. Quando la partite stavano per finire, aprivano le porte di sicurezza per fare entrare le persone che erano rimaste fuori. Ricordo uno scudetto con tutta la gente in campo a festeggiare. O i tifosi che ci aspettavano quando tornammo da Poznan con la Coppa dei Campioni. Però il ricordo che mi lega di più al “Pala” è la mia festa di addio al basket con l’emozione quando hanno ritirato la maglia. Come pure il mio ultimo scudetto nel 2002, quando dopo aver rotto il crociato, sono tornata in campo negli ultimi 50 secondi e ho segnato da tre punti. Non dimentico anche l’amarezza della sconfitta nella finale con Taranto».

Il PalaSampietro era questo e altro. Il campo trasformato in ristorante per una cena post scudetto, la presentazione con la Clear Cantù, la messa per i 125 anni con il vescovo Maggiolini, i concerti. Fino all’ultima semifinale scudetto del 2012, mentre veniva scritto lo choccante epilogo.

Da un anno rinominato PalaFrancescucci, trasuda ancora delle imprese nerostellate. La parata di stendardi sul soffitto, l’aquila scudettata a centrocampo, i nomi delle giocatrici ancora sui tabelloni. «Basta alzare lo sguardo e si respira la storia. Mi rendo conto che i tempi cambiano ed è giusto che venga usato per altri sport. Ma per me rimarrà sempre la casa della grande Comense. E mi auguro che gli stendardi restino per sempre come testimonianza» chiosa Ballabio.

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