Sette anni fa
Paolini in rosa al Giro

Intervista con l’ex corridore comasco protagonista della corsa rosa nel 2013.

Maggio, il mese del Giro d’Italia. Una lunga tradizione associa questo mese alla corsa rosa, prima che l’effetto dirompente della pandemia ne provocasse la dissoluzione. Così, l’edizione 2020 dovrebbe tenersi il prossimo ottobre. «E sarà strano, perché per noi innamorati della bicicletta quando fa capolino maggio l’immediata sensazione che associano è proprio il profumo del Giro. L’atmosfera che c’è nell’aria è particolare». Luca Paolini, oggi 43enne, ex professionista comasco per un quindicennio (dal 2000 al 2015), 10 maglie azzurre ai Mondiali e due alle Olimpiadi, 13 partecipazioni ai tre Grandi Giri - seppur fosse uomo da classiche (soprattutto quel del Nord) - il 6 maggio di 7 anni fa vinceva la terza tappa dell’edizione n.96 indossando anche la rosa, simbolo del primato. Aveva già 36 anni, ma quella era la sua prima presenza al Giro d’Italia.

Ci parli di quel 2013

«Dobbiamo iniziare con l’avvicinamento al Giro. Quell’anno in Katusha (la squadra per la quale correva, ndr) non c’era un leader designato per far classifica e così potevamo interpretare il Giro da cani sciolti. Avevo studiato l’altimetria delle prime tappe e mi ero reso conto che avrei anche potuto vincerne una. E così ho fissato l’obiettivo».

La terza tappa.

«Eravamo reduci da un eccellente terzo posto nella cronosquadre di Ischia, a 19” dai vincitori. Se fino alla vigilia di quella corsa contro il tempo ero convinto che avrei potuto puntare al successo nella tappa dell’indomani, successivamente ho iniziato a fare pure un pensierino alla maglia rosa. Difficile, anzi difficilissimo. Ma forse non più impossibile. Perché con i 20 secondi di abbuono per il vincitore...».

E infatti...

«Avevo ricevuto carta bianca dai vertici e i compagni sarebbero stati a mia disposizione. Io ero conscio che avrei dovuto interpretare quella frazione come fosse una classica. In verità la salita da affrontare l’ho scoperta più lunga e impegnativa di come invece appariva sulla carta. E lì ho temuto di non farcela».

Poi, invece, l’attacco perfetto nella tortuosa discesa finale: confessi, lo aveva già disegnato nella sua mente

«Sì è così. Ma mai e poi mai mi sarei aspettato di giungere da sola al traguardo. A quel punto l’obiettivo era soltanto la vittoria parziale, mentre quello della maglia era un pensiero più lontano. Infatti, nell’ultimo chilometro mi sono rilassato perché ho voluto assaporare ogni attimo, centellinandolo».

Lei vestì la maglia rosa per altre quattro tappe.

«Cinque giornate indimenticabili, anche perché aver avuto la possibilità di sfoggiarla al Sud dove il calore della gente è qualcosa di unico è stata un’autentica fortuna. Intorno a me registravo un entusiasmo incredibile. E a essere leader per un po’ di giorni mi ha fatto comprendere sino in fondo quello che provano i “grandi”. Adrenalina e brividi».

L’intervista integrale sulla Provincia di domenica

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