Cabiate, la confessione dell’assassino
«Ho ucciso Sharon e non so il perché»

Gabriel Robert Marincat confessa al processo la violenza e l’omicidio della bimba di soli 18 mesi. In aula dice: «Ho rovinato la vita a tutti». E sua madre: «Da piccolo veniva picchiato ogni giorno dal padre»

Nell’atrio del palazzo di giustizia di Como, seduti sulla rigida panca all’esterno dell’aula della corte d’Assise, un uomo e una donna attendono che la porta si apra. E che esca la figlia. Sono i nonni della piccola Sharon Sapia Barni, uccisa quando non aveva neppure due anni di età dal compagno della madre. Loro, i nonni, non si sono costituiti parte civile e quindi non sono ammessi nell’aula dove il processo a carico di Gabriel Robert Marincat, accusato di omicidio volontario aggravato dalla violenza sessuale, prosegue a porte chiuse.

La confessione

E proprio l’omicida della piccola Sharon, ieri mattina, è stato il protagonista dell’ultima udienza dibattimentale (la prossima settimana ci saranno le conclusioni di accusa e difesa e, quindi, la sentenza). Il giovane rumeno ha accettato di rispondere alle domande del pubblico ministero, Antonia Pavan. E davanti ai giudici popolari ha confessato ogni cosa. E ammesso ogni responsabilità. Ha detto che sì Sharon l’ha picchiata e colpita ripetutamente uccidendola. Ha ammesso pure gli abusi sessuali. E tutte le bugie dette in seguito per cercare di salvarsi.

In alcuni momenti il giovane ha dato quasi l’idea di volersi consegnare spontaneamente a una condanna all’ergastolo: «Ero nervoso» ha detto. «Non so perché l’ho uccisa». Tutto è iniziato all’ora di pranzo. Sharon pare avesse fatto dei piccoli capricci per il cibo e Marincat l’ha afferrata malamente per la prima volta. L’ha strattonata con rabbia. Causando il pianto della piccola. Da lì la situazione è precipitata. Non so cosa mi sia capitato, ha detto. Sharon mi piaceva, mi chiamava papà e le volevo bene. Ho rovinato la vita a tutti quanti, ha chiosato in aula. Nelle scorse settimane Marincat aveva spedito una lettera di scuse alla sua ex compagna, la mamma della bimba, Silvia Barni. Rispondendo all’avvocato di parte civile ha detto che sì, quella lettera l’ha scritta di sua volontà senza che nessuno lo imbeccasse per farlo.

Ero felice - ha poi riferito - avevo una compagna che amavo, un lavoro e a Sharon volevo bene. Non so cosa mi sia capitato, ha ripetuto.

Le botte da bambino

L’avvocato difensore, Stefano Plenzick, ha chiamato a testimoniare anche la mamma di Marincat. La donna ha ricostruito l’infanzia del figlio come un autentico incubo. Un viaggio dell’orrore attraverso le botte continue e quasi quotidiane di un padre particolarmente violento. Solo quando Gabriel Robert ha compiuto 12 anni il padre se n’è andato, a Londra, interrompendo la scia di violenza. Dieci anni più tardi il figlio lo vorrà rivedere e, per tutta risposta, finirà all’ospedale per i calci e i pugni del genitore.

Violenze che, secondo il difensore di Marincat, avrebbero avuto un ruolo nel delitto di Sharon andando a minare la capacità di intendere e di volere del giovane omicida. Ma la corte d’Assise ha deciso che una perizia psichiatrica non è necessaria, perché nel corso del dibattimento non è emerso alcun elemento neppure indiziario che possa far propendere per l’esistenza di una patologia così grave da aver guidato la mano del ragazzo contro la sua stessa volontà.

Tra una settimana si torna in aula per la requisitoria e l’arringa difensiva. E per la condanna. L’imputato rischia il carcere a vita.

Paolo Moretti

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