Cantù, addio Agostino
Scomparso a 98 anni
l’alpino che finì nel lager

Frigerio, decano delle Penne Nere, fu internato nel 1943. “Schiavo di Hitler”, ottenne il riconoscimento d’onore. «Per non servire l’invasore tedesco rifiutò di essere liberato». Il capogruppo Moro: «Il nostro eroe ha posato lo zaino»

Il lutto nel 2 Giugno, Festa della Repubblica Italiana. È morto prima dell’alba di ieri Agostino Frigerio, 98 anni, decano degli alpini di Cantù, reduce della Seconda Guerra Mondiale, tra le penne nere più anziane d’Italia, distintivo d’onore per i patrioti Volontari della Libertà, «essendo stato deportato nei lager e avendo rifiutato la liberazione per non servire l’invasore tedesco e la repubblica sociale durante la Resistenza», come si legge nel riconoscimento del Ministero della Difesa.

In campo di lavoro a Chemnitz

Assegnato a Merano, catturato in Alto Adige dopo l’armistizio del ’43, Frigerio fu internato in un campo di lavoro in Germania, a Chemnitz, “schiavo di Hitler”, espressione utilizzata che non rende pieno merito a chi, come lui, ha scelto la libertà di essere un uomo, al prezzo della prigionia in un campo di lavoro.

Per più di un anno: dodici ore di lavoro di fila, in una fabbrica di carrarmati. Frigerio riuscì a fuggire dopo essere sopravvissuto alle stesse bombe degli americani, che distrussero il campo ma provocarono morti fra gli internati.

La festa il 27 maggio

Soltanto pochi giorni fa, il 27 maggio, il saluto di compleanno era stato in realtà un saluto d’addio, con tutti gli amici alpini, con tanto di coro, in 22 a cantare per lui, seduto a fianco della moglie, Velia Sala Tenna, 69 anni di matrimonio insieme. «Mi piange il cuore comunicarvi che il nostro eroe, Agostino Frigerio, questa notte ha appoggiato lo zaino a terra ed è andato avanti. Non ho parole per descrivervi il dolore che provo...», scrive in un messaggio il capogruppo degli alpini di Cantù Settimo Moro.

«Il nostro grande papà alpino è stato un uomo forte e generoso, esempio di vita e di valori veri, vissuti pienamente con passione e pazienza - il ricordo delle figlie Paola e Renata: il terzo figlio, Peppo, morì in moto nel 1980 a 26 anni, un dolore che Frigerio cercò di superare con la sua grande fede e con la totale dedizione alla famiglia - Ci ha insegnato le stagioni della terra, il profumo del legno, l’amore che non ha paura del sacrificio a cui non servono le parole».

È spirato sereno durante la notte. Una vita, ricordano a casa, condotta sempre con profilo basso e umiltà. Frigerio ha lavorato per oltre settant’anni, da quando ne aveva 12, come falegname, nella bottega del padre. Niente lussi, ben pochi passatempi se non la cura dell’orto, l’amore per la montagna, la cucina.

La battaglia vinta con il Covid

Nell’ultimo anno ha dovuto lottare, insieme alla moglie, con il Covid: un’altra battaglia vinta.

«Realizzava mobili raffinatissimi per famosi architetti degli Anni Cinquanta e Sessanta, come Mangiarotti o Bbpr, che venivano nella sua bottega di via Arconi a cercare il supporto di mani esperte e abile. Un uomo comune, serio e corretto. Ha condotto una vita retta e rispettabile, prodigandosi per gli altri, per la famiglia e per la patria».

Un esempio di vita. I funerali domani, venerdì, alle 15 - prima, il rosario - al Santuario della Madonna dei Miracoli.

Christian Galimberti

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