Delitto Molteni, la suocera rivela
«Volevo giustizia, non che morisse»

Ieri in aula la testimonianza dei coniugi Armando e Antonietta Rho e del figlio Ivano

«Io volevo la giustizia. Però non una morte così. Non lo volevo morto, il Molteni... Volevo che lui si comportava (sic) un po’ meglio. Qualche scherzetto, così... Ma non morto».

Al culmine della deposizione resa ieri pomeriggio davanti alla corte d’Assise riunita per giudicare il commercialista Alberto Brivio nel processo per l’omicidio dell’architetto Alfio Molteni. la madre di Daniela Rho, Antonietta Caimi, 74 anni, ha ceduto alla pressione dell’avvocato Aldo Turconi, difensore di Brivio. Ed ha ammesso, almeno parzialmente, che la scelta di sottoporre l’architetto di Carugo alla sfilza di intimidazioni che sfociarono poi nell’omicidio (l’incendio dell’auto nel garage dello studio, piuttosto che i colpi di pistola esplosi contro la casa del padre) fu condivisa se non da tutti quantomeno da lei, e probabilmente anche dal marito Armando Rho, se è a lui che si riferiva la signora Antonietta con il fantomatico “noi” cui più volte ha fatto ricorso rispondendo alle domande..

Anche sul movente si è aperto qualche scorcio. La signor Antonietta ha confermato le preoccupazioni sue, di nonna, e della figlia in relazione alle ore, ai giorni che le bambine - figlie di Daniela e di Molteni - trascorrevano con papà: la sera, ha ricordato la nonna, quando andavano via con lui piangevano e viaggiavano in auto «con il finestrino abbassato» (da cui il movente identificato per primo, quello cioè di screditare la figura dell’architetto agli occhi del giudice che avrebbe dovuto decidere dell’affidamento delle bimbe).

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