L’agguato all’architetto
Forse non volevano ucciderlo
La pista: un affare fallito

Spari, molotov e auto incendiate: escalation di intimidazioni

«Non ho sospetti», diceva. Agli atti voci di frequentazioni “preoccupanti”

Doveva essere il quarto avvertimento: quello del piombo. Del sangue. Della paura vera. Lo spavento definitivo, per convincere la vittima di chissà cosa, ma di certo che nessuno, in questa storiaccia, stava scherzando. E invece si è trasformato in un agguato mortale. Il giorno dopo gli spari nel buio di Carugo che hanno strappato la vita ad Alfio Vittorio Molteni, l’inchiesta del nucleo investigativo dei carabinieri di Como coordinata dal pubblico ministero Pasquale Addesso cerca di dare una prima risposta alle tante domande di una Brianza sotto choc.

Con ogni probabilità l’architetto con studio a Mariano Comense non doveva morire. A dirlo la dinamica dell’aggressione: gli assassini lo aspettavano nel giardino della casa di via Garibaldi e, al suo arrivo, hanno mirato alle gambe: il primo colpo più o meno all’altezza del femore, il secondo tra addome e torace, forse finito lì mentre Molteni, ferito, si stava accasciando. Quelli che sono diventati i suoi assassini, quindi, avrebbero dovuto “soltanto” (si fa per dire) gambizzarlo. In un’escalation drammatica di avvertimenti che la magistratura in oltre tre mesi non era riuscita a riunire sotto un unico fascicolo d’indagine.L’attenzione degli investigatori si sarebbe incentrata sul lavoro di Alfio Vittorio Molteni e sui rapporti d’affari che il professionista aveva sia in Italia che all’estero, in Russia e in Arabia Saudita in particolare. Ma, soprattutto, vengono rilette sotto una nuova luce le preoccupazioni messe nero su bianco da una familiare su alcune frequentazioni poco raccomandabili che, a suo dire, l’uomo avrebbe intrattenuto negli ultimi mesi.

L’OMICIDIO DI CARUGO SU LA PROVINCIA DI VENERDì 16 OTTOBRE QUATTRO PAGINE

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