Uccise Sharon, poi uscì a cercare la droga
Prima udienza tra lacrime e porte chiuse

CABIATE - Il pusher: «Venne a prendere il metadone e mi disse di aver fatto una grande cavolata». Tensione in aula per la presenza dell’imputato Marincat. La difesa chiede la perizia psichiatrica

Tutti fuori dall’aula. Nessuno escluso. Un processo in Corte d’Assise per omicidio, caso più unico che raro, si celebra con le porte chiuse a tutti. Cronisti compresi. Il motivo: l’accusa rivolta all’imputato non solo di omicidio volontario ma anche di violenza sessuale nei confronti di una bimba di neppure due anni (da qui l’esigenza di escludere il pubblico). Si aperto tra lacrime, momenti di tensione e una richiesta di perizia psichiatrica il processo a carico di Gabriel Robert Marincat, 26 anni, reoconfesso di aver ucciso a botte la piccola Sharon Sapia Barni, 18 mesi soltanto, figlia della sua convivente.

La testimonianza del pusher

Per la prima volta da fine gennaio, cioè da quando Silvia Barni, la mamma di Sharon, ha cacciato di casa il convivente iniziando a sospettare che l’inverosimile storia della stufetta caduta in testa alla bimba fosse una clamorosa bugia, la donna e l’omicida si sono ritrovati l’uno di fronte all’altra, nell’aula della corte d’Assise.

In quella stessa aula anche i nonni di Sharon. E proprio quando il nonno della bimba si è seduto sul banco dei testimoni si è vissuto il primo momento di tensione, quando in uno sfogo ha puntato il dito e la propria rabbia contro la gabbia per insultare l’imputato. Rabbia tanto comprensibile quanto non ammissibile in un’aula di Tribunale, come ha ricordato il pubblico ministero Antonia Pavan la quale ha chiesto a tutti di rispettare le regole di civiltà imposte da un processo.

Tra i testimoni chiamati a deporre anche un 37enne di mariano Comense vecchia conoscenza per motivi di droga delle aule giudiziare, nonché spacciatore di metadone di fiducia di Marincat. In aula l’uomo ricordava perfettamente quel lunedì 11 gennaio, quando, verso le dieci di sera si è incontrato con l’imputato per vedergli una boccetta di metadone. La piccola Sharon era stata portata via in elicottero soltanto un paio di ore prima e già si sapeva che era morta. Ma Marincat non ha rinunciato ad andarsi a comprare la dose di metadone. Nel corso dell’incontro con il pusher era sembrato turbato e aveva detto: «Ho fatto una grande c....».

Ma il momento più toccante dell’intera udienza è stato quando mamma Silvia - peraltro sempre costantemente assistita nel corso del dibattimento dalla sua psicologa - e la nonna materna hanno cercato, tra lacrime e singhiozzi, di ripercorrere quel maledetto lunedì e i mesi prima, quando la porta di casa Barni era stata aperta al giovane rumeno.

Le due donne hanno spiegato di aver accolto Marincat come un bravo ragazzo e che sì, Silvia Barni sapeva che faceva uso di droga ma lui le aveva assicurato che prendeva il metadone perché voleva smettere. E che no, mai avevano notato lividi sulla bambina.

Le parole della nonna

La nonna ha poi raccontato di quando è salita in casa per soccorrere la nipotina. E di aver capito che ormai non c’era più nulla da fare. Anzi, è certa che la bimba fosse già morta quando ha chiamato i soccorsi.

«Ho provato a rianimarla» ha detto tra la commozione generale (gli stessi giurati popolari hanno fatto fatica a trattenere la commozione).

Si torna in aula il 10 novembre, quando toccherà ai consulenti dell’accusa e sarà la volta dell’imputato. Poi dovrà testimoniare la mamma di Marincat, per raccontare degli abusi e delle violenze che il figlio ha subito dal padre. Premessa per insistere con la richiesta di perizia psichiatrica.

Paolo Moretti

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