I veri allarmi e il pessimismo degli italiani

Viviamo in una nazione dove chi governa sente generalmente il bisogno di tranquillizzarci, quando non di tacere, i rischi che corriamo e i problemi che viviamo: dall’influenza A, all’aumento dei tumori del sangue; dai danni dell’inquinamento, alla crisi economica; dalla crisi di immagine all’estero del Bel Paese, alla presenza di navi sospette nei fondali dei mari nostrani. Chissà allora perchè il nostro Ministro dell’Interno ha sentito l’insopprimibile urgenza di allarmarci avvisandoci che crede che forse in Italia stiano nascendo delle specie di cellule che non è da escludere che in qualche modo possono essere ricollegate ad Al Qaida.

Alberto Valsecchi

Forse ha parlato a nuora perché suocera intenda: siccome quando chiede maggiori fondi per la sicurezza nazionale, glieli negano anteponendovi altre esigenze, un richiamo alla questione può servire. Può servire anche a far sapere che non è esagerato intensificare controlli, tenere la guardia alta, evitare di credere che siamo alla periferia dell’emergenza terroristica. Ci siamo, come altri Paesi, nel bel mezzo, e solo una buona azione di “intelligence” ha evitato finora il compiersi d’atti dalle imprevedibili conseguenze. Per quanto riguarda il resto, a me pare che accada il contrario ovvero che vi sia un quotidiano diffondersi d’allarmi. Forse si tratta d’una sorta di naturale pessimismo preventivo del quale non sappiamo liberarci perché un passato di troppe disillusioni ce lo vieta. Gl’inglesi, per esempio, sembrano condividere la diagnosi che in materia fece Winston Churchill: individuando nel pessimista colui che vede la difficoltà in ogni opportunità, e l’ottimista in colui che vede l’opportunità in ogni difficoltà, scelse la seconda categoria. Credo che gl’italiani non si ritrovino in questa scelta. Gli circolano nel sangue globuli di derivazione latina, cioè d’una civiltà che aveva dell’uomo un’ammirazione condizionata: senza l’indulgente beneplacito degli dei, di poco o nulla egli era capace. Quel retaggio ricevette chiara ospitalità nei secoli bui del Medioevo. Si dovette aspettare il Rinascimento per modificare sensibilità e giudizio, ma ci penalizzò allora – e ci avrebbe penalizzato a lungo- il ritardo nella costituzione d’uno stato nazionale. Anche in virtù di ciò il migliore dei mondi possibili ha continuato a sembrarci quello dei vicini di frontiera, e il nostro un’imitazione così pallida da farci temere che possa dissolversi a qualsiasi stormir di fronda. Chi è rimasto scottato dalla minestra calda, dice Bertoldo, soffia anche su quella fredda. Noi seguitiamo a soffiare.

Max Lodi

© RIPRODUZIONE RISERVATA