Noi sudditi e le disgrazie dei diplomatici

Se abbia fatto bene o male Assange a divulgare tutti quei file è un conto e ognuno può avere su questo la sua opinione, altra cosa è analizzare il fatto in sé e le ripercussioni che ne derivano. L'11 settembre della diplomazia, come qualcuno l'ha definito, non tocca certo noi poveri sudditi ai quali è per convenzione ormai consolidata e prassi comune raccontare verità sempre più inattendibili senza più alcun pudore e sempre allo scopo inconfessato di curare gli interessi dei più ricchi e potenti. Si spalmeranno una ulteriore dose di pelo sullo stomaco e continueranno a perseverare accoltellando gli “amici” alle spalle, pensando esclusivamente: quanto mi rende? Affermare che non si devono rendere note informazioni riservate che riguardino gli stati di cui ciascuno di noi è parte è una baggianata. La discriminante è determinata esclusivamente dai contenuti che si sottraggono ai segreti di stato. Se oltre ai file riferiti direttamente agli USA e indirettamente agli altri paesi, Assange avesse avuto la disponibilità di informazioni pescate dagli archivi Iraniani o Cinesi o Nord Coreani e li avessi resi noti, il tutto avrebbe assunto un rilievo diverso e magari chi grida ora allo scandalo sarebbe il primo a battergli le mani. Ipocrisia fa rima con diplomazia. Ipocrisia è condannare chi ruba “segreti” e non chi non li sa custodire.

Paolo Trezzi

Ha un merito, questa diffusione di documenti da parte di Wikileaks. Di farci discutere su un argomento noto e tuttavia ignorato dal dibattito pubblico. L'argomento è la vita che cambia nell'era di internet. Lo sappiamo che cambia, che è cambiata e che cambierà ancora e molto. E però siamo restii ad accettare questo cambiamento (come ogni cambiamento) in tutte le sue forme. Forme da valutare, discutere e criticare e però non da nascondere sotto il tappeto della comoda consuetudine. La comoda consuetudine è quella che ci fa guardare al nuovo con sospetto, con timore, con rifiuto. Un atteggiamento sbagliato. Naturalmente non è detto che il nuovo sia il bene assoluto, non di rado contiene venature (e che venature) di male. Ma lo si deve affrontare e non rimuovere. Wikileaks, come qui si è già scritto, non è un modello di giornalismo perché il giornalismo è raccogliere le notizie, selezionarle, interpretarle, scegliere quelle da diffondere e quelle da non diffondere. E servono, allo scopo, i professionisti dell'informazione. E' invece un modo di comunicare. Di comunicare tuttavia verità (o presunte verità) parziali. Verità solo in parte, e qualche volta di parte.

Max Lodi

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