La par condicio sul palcoscenico di Sanremo

La proposta di un consigliere d'amministrazione Rai di nomina Pdl di posticipare il festival di Sanremo per non condizionare la campagna elettorale è la miglior foto dello stato d'intatta conservazione della classe dirigente e politica. E sbalorditivo che, dopo mesi d'infuriare dell'antipolitica, si proponga un provvedimento che la incrementerebbe. Che cosa c'entrano le due cose? Davvero si pensa che la battuta di un comico sposti il voto di masse d'italiani?

Corrado Marchi

Certo che lo si pensa. Con infinito sprezzo dell'evento elettorale, di chi lo animerà gareggiando, e infine dell'intelligenza degl'italiani. Considerati un popolo d'allocchi che sceglieranno i candidati al Parlamento e il candidato alla presidenza del Consiglio sull'onda d'un motteggio della Littizzetto o d'un ammiccamento di Fazio. La proposta del Pdl conferma l'effetto perverso della par condicio, normativa che ha reso il nostro Paese impari rispetto agli altri. Da nessuna parte esiste una regola così, e dappertutto si sorride pensando alle ricadute che essa comporta tra di noi. Anziché preoccuparsi dell'umorismo d'un artista, il quale non può che esercitarlo secondo la sua libera sensibilità, la classe politica si dovrebbe preoccupare della sua mancanza d'autoironia. Una delle tante mancanze. Ma non la meno grave: è infatti la spia dell'intolleranza, della presunzione, dello spirito di casta, della distanza dal Paese reale che hanno purtroppo marchiato gli anni della Seconda Repubblica. La quale, nata per ovviare ai difetti (anche ai difetti censori verso la satira) della Prima, li ha copiati ingigantendoli. E se li suona e ce li canta disinvoltamente.

Max Lodi

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