Quella felicità che il progresso non sa darci

Nella spasmodica e continua ricerca di qualcosa in più - più soldi, più tecnologia, più anni da vivere - viviamo in uno stato di perenne insoddisfazione


Cara Provincia,
leggendo il simpatico articolo di Giorgio Spreafico sulla scoperta di una netta superiorità fisica dell’uomo nel Paleolitico, mi sono venute in mente alcune riflessioni fatte l’estate scorsa dopo aver terminato “The Cave Painters” di Gregory Curtis. Il giornalista americano racconta la storia delle scoperte e e delle teorie intorno alle pitture paleolitiche di Francia e Spagna, e conclude osservando come l’arte delle caverne sia sopravvissuta, salvo per piccole diversità stilistiche, praticamente immutata per 20.000 anni. Secondo lui solo una cultura soddisfacente dal punto di vista emozionale, spirituale, intellettuale e pratico avrebbe potuto permettere questa longevità, rimasta unica. Vero, l’uomo viveva molto meno a lungo di ora, ma siamo sicuri che questo lo turbasse e che non fosse invece semplicemente considerato come il naturale scorrere delle cose? A ben pensarci Curtis non mi pare avere torto. Quanta felicità solida e duratura ci ha portato il “progresso”? E non è forse vero che, al contrario, nella spasmodica e continua ricerca di qualcosa in più - più soldi, più tecnologia, più anni da vivere - siamo in uno stato di perenne insoddisfazione? E che dire delle presupposte maggiori intelligenza e prestanza fisica?
Spogliati di scarpe e abiti termoisolanti, creme solari, navigatori, e di tutto ciò che ci permette di fare tutto senza fare niente quanti di noi, “superiori occidentali” sopravviverebbero nel bel mezzo della foresta amazzonica o del bush australiano? Be’, ormai è così e ci siamo in mezzo, io per prima, attaccata ai miei pezzi di tecnologia e al mio desiderio di una vita lunga. Non sono una novella Rousseau che auspica un ritorno alla natura senza se e senza ma. Però mi chiedo se non valga la pena, quando si può, di darsi un freno così da godere di quello che si ha ma soprattutto di fermarsi a pensare prima di bollare qualcosa o qualcuno come primitivo.
Cordialmente

Claudia Cantaluppi

Cara Claudia,
anche lei come me non si sta certo augurando di poter vivere da domani in una caverna. Potremmo però di sicuro alternarci a quel suo provvidenziale pedale del freno, e forse potremmo persino dividerlo con molti altri. E’ bello già saperlo. Di quante cose non abbiamo bisogno, in realtà. E quanti apparenti passi indietro sarebbe davvero possibile fare, sfrondando sfrondando nella nostra vita, per poi scoprire di essere andati un po’ più lontano nella sola direzione che conta. Ci vediamo lì, un po’ più felici.

Giorgio Spreafico

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