Il 4 novembre e l’errore di non parlarne

L'argomento è quasi ignorato anche da giornali e tv

Oggi è il 4 novembre, data fondamentale della storia d’Italia. Eppure non se ne parla sui giornali e alla televisione, come se ormai il ricordo di quella gloriosa vittoria non meritasse di essere rinverdito, nonostante di valori da trasmettere ai giovani ce ne siano, ripensando ad allora. Forse si crede, secondo me erroneamente, che gli eventi del passato, essendo lontani, non debbano più essere tenuti in considerazione. E invece bisognerebbe capire che da buttar via, nelle vicende di una nazione, non c’è nulla, soprattutto le cose belle.

Franco Gneppi

Non se ne parla, o se ne parla poco, sui giornali e alla tivù, e per nulla nelle scuole. Di Vittorio Veneto cade quest’anno il novantesimo, e non sarebbe stato male chiacchierarne per esempio nelle lezioni di piazza ormai divenute così abituali. Il nostro ingresso in guerra venne giustificato con due necessità, il dovere di portare a termine il Risorgimento e l’obbligo di redenzione delle regioni rimaste sotto il dominio straniero. Si trattava d’infingimenti: Austria e Germania, di cui eravamo alleati nella Triplice, ci avrebbero dato il Trentino (e non solo) senza che combattessimo. Bastava garantire la neutralità. Anche il Paese, nella sua maggioranza, era per non incrociare le armi. Lo erano in Parlamento socialisti, cattolici e liberali moderati, lo erano dalle Alpi alla Sicilia cittadini ancora faticosamente impegnati a riconoscersi come un unico popolo. Ma prevalse l’ambizione della monarchia, dei conservatori, dei movimenti ipernazionalisti, del dannunzianesimo e del futurismo: l’Italia doveva entrare in guerra per vincerla e trasformarsi in grande potenza. L’imperialismo chiamava, e in suo nome tradimmo austriaci e tedeschi che ne erano stati per secoli tra i maggiori beneficiari. Ma tradimmo anche il nostro passato: da imbelli, perché usi ad appaltare le armi agli eserciti stranieri, diventammo guerrieri. Impreparate all’evento e affidate a comandanti spesso inadeguati al ruolo, le nostre truppe fecero il miracolo d’adeguarvisi: furono premianti lo spirito di sacrificio, la predisposizione alla sofferenza, la dedizione alla causa. E la guerra voluta da pochi divenne la guerra di molti, forse di tutti. La sinistra non capì il significato e la portata di quest’identificazione popolare e contribuì, finite le ostilità e disattese le richieste dei reduci, ad aprire le porte al fascismo. Se fossero state diversamente colte e incanalate le pulsioni ideali e culturali e le energie economiche e sociali accese dal conflitto, non si sarebbe spenta nel giro di poco tempo la luce sulla democrazia.

Max Lodi

© RIPRODUZIONE RISERVATA