Con le anguille in dogana
Rischiano fino a due anni

Dal tribunale di Como arriva una storia davvero insolita, al centro di un processo che si aprirà tra un paio di settimane.

Como

A proposito di processi lenti e di obbligatorietà dell’azione penale (il principio che impone di procedere contro ogni reato, pur “piccolo” che sia): dal tribunale di Como arriva una storia davvero insolita, al centro di un processo che si aprirà tra un paio di settimane. Gli imputati sono il titolare di una ditta di spedizioni di Grandate e il legale rappresentante della Copromar srl, società milanese attiva nella vendita di prodotti ittici. Dunque: lo spedizioniere è accusato di falso, il titolare dell’azienda milanese dovrà invece difendersi dall’accusa di avere violato il contenuto della legge che tutela le specie animali e vegetali in via di estinzione. Quali? Nello specifico due esemplari di anguilla europea, intercettate il 3 febbraio del 2015 in transito sul confine italo svizzero.

Bene, secondo gli accertamenti a suo tempo svolti dalla Procura, l’importatore aveva mancato di presentare la documentazione completa, mentre lo spedizioniere aveva indicato nella relativa bolletta doganale il codice di esclusione che si riserva alle specie animali non rientranti nella cosiddetta convenzione “Cites”, quella che elenca le specie giudicate a rischio. Come a dire: gli imputati avrebbero finto - il condizionale, in questo caso, è davvero obbligato - di non sapere che l’anguilla europea è ultra tutelata dalla convenzione di Washington, nonostante il gran mangiare che se ne fa in Campania (il capitone), in Sardegna piuttosto che nella valli di Comacchio. L’avvocato Gianluca Giovinazzo, che assiste l’azienda di Grandate, sembra già intenzionato a chiedere un’assoluzione per la cosiddetta “particolare tenuità del fatto”.

Comunque: le più felici sono senz’altro le due anguille. Dovevano finire in tavola, in realtà pare che siano tuttora vive e vegete, sia pure sotto sequestro, in un acquario milanese.

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