Sub annegata a Villa Geno
Assolti i due sommozzatori

Accompagnarono Paola Nardini, per il tribunale sono innocenti

I difensori: «Tragedia per tutti, non fu colpa di nessuno»

Si è concluso con una sentenza di assoluzione «per non aver commesso il fatto» il processo per omicidio colposo intentato nei confronti dei due sub che il 29 settembre del 2013 accompagnarono Paola Nardini, 35 anni, in un’immersione nelle acque di Villa Geno che le fu fatale.

La sentenza di assoluzione, pronunciata ieri mattina, è l’epilogo di un processo lungo e complicato, sia da un punto di vista tecnico sia da un punto di vista emotivo, e basti in questo senso tornare alla drammatica deposizione resa in aula lo scorso 20 aprile da Walter Sordelli, 56 anni, l’ex istruttore che tentò di riportare Paola in superficie senza riuscirci, salvo poi rinunciare per sempre, da quel giorno, all’attività di subacqueo.

Per il tribunale Sordelli è innocente, così come lo è il coimputato Daniele Gandola, 57 anni, lui pure comasco, terzo partecipante a quella immersione. Per comprendere le ragioni della assoluzione (giudice Nicoletta Cremona) occorrerà attendere il deposito delle motivazioni, ma si può fin d’ora ipotizzare che il tribunale abbia finito per collocare la tragedia di Paola - che viveva a Tavernerio, lavorava come osteopata e amava moltissimo pinne, muta e bombole - nell’alveo delle disgrazie, di quegli eventi conseguenza del destino, senza che sussistano profili di responsabilità da parte di altri.

La Procura (pm Maria Vittoria Isella) aveva invocato una condanna a otto mesi. Le reazioni alla sentenza: «Siamo soddisfatti - hanno detto i difensori degli imputati, Piermario Vimercati e Stefano Fagetti - Abbiamo sempre pensato che non sussistessero profili di colpa e che i nostri assistiti avessero fatto tutto quanto in loro potere per salvare la compagna di immersione. Si è trattato di una tragedia, non solo per i familiari della vittima ma anche per gli stessi imputati».

Così, invece, Edoardo Pacia, legale di parte civile dei familiari di Paola: «Si è trattato di un processo di grande delicatezza e complessità umana e giuridica che ruota attorno ad una vita spezzata di una donna di 35 anni che stava dedicandosi alla sua passione con persone di cui si fidava. Noi siamo intimamente convinti della responsabilità penale degli imputati e che essa sia emersa in dibattimento. Il giudice ha deciso diversamente e le sentenze vanno rispettate per poi analizzarle approfonditamente dopo il deposito della motivazione. Così faremo, come sempre, anche in questo caso. Reputo, comunque, che l’appello sarà inevitabile».

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