Tolse l’amianto dalla piscina Sinigaglia
Morto a 48 anni, risarcite moglie e figlia

Mezzo milione di euro agli eredi di un operaio comasco che si è ammalato di tumore. Il giudice: «L’impresa ha l’obbligo di vigilare, informare e formare i dipendenti sui pericoli»

Erano bastati pochi mesi di lavoro di smaltimento dell’amianto dalla copertura della piscina Sinigaglia e dalle scuole di Tavernola e Maslianico per ammalarsi. Così gravemente da morire all’età di 48 anni a causa di un mesatelioma, il tumore ai polmoni provocato proprio dalle fibre di amianto.

Il giudice del lavoro di Como, Barbara Cao, ha accolto il ricorso della moglie e della figlia di un operaio comasco morto nel 2011 in seguito a una malattia professionale e ha condannato gli eredi dell’azienda per cui aveva lavorato, oltre che l’assicurazione della stessa, a risarcire loro 517mila euro.

L’uomo aveva iniziato a lavorare giovanissimo, all’età di 16 anni, nella società che si occupava di restauri, verniciature, interventi edili. Tra il 1978 e il 1998 l’operaio comasco era stato dipendente, prima di mettersi in proprio come artigiano. Negli anni a cavallo tra il 1988 e il 1990 l’uomo, con i suoi colleghi, ha partecipato ad alcuni lavori per la rimozione delle coperture di amianto da alcuni edifici pubblici, in particolare dalla piscina Sinigaglia e dagli edifici scolastici di Tavernola e Maslianico.

Alla fine del 2010, dodici anni dopo aver lasciato la Belluschi, una radiografia al torace aveva svelato il tumore. Esattamente un anno più tardi l’ex operaio era morto ad appena 48 anni lasciando la moglie e la figlia 23enne. Le due donne si sono rivolte all’ufficio vertenze Cisl per chiedere aiuto e il caso era diventato una causa di lavoro, presentata dall’avvocato Flavio Piovan, legale delle due donne.

Il legale dell’impresa ha presentato documentazione per documentare «la cura posta» dall’azienda «per l’acquisto delle apparecchiature protettive necessarie ai lavoratori» adibiti a interventi pericoli come la rimozione dell’amianto.

Ciononostante la sentenza ha accolto il ricorso e stabilito il risarcimento del danno perché l’impresa non ha fornito la «prova dell’avvenuta ottemperanza agli obblighi di vigilanza, di informazione e di formazione da parte del datore di lavoro», un dovere anche in epoca antecedente dall’entrata in vigore nel 1994 della legge 626 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.

«Il giudice - è il commento della Cisl dei Laghi - si è pronunciato a favore degli eredi del defunto ricorrenti, avverso la tesi dei consulenti tecnici, per la quale, pur ammettendo il nesso causale fra le lavorazioni svolte presso l’azienda e l’insorgenza della malattia, veniva affermato il rispetto da parte» del datore di lavoro «delle misure di prevenzione vigenti al tempo, con l’esclusione quindi della responsabilità aziendale nella malattia professionale». Da qui il risarcimento da mezzo milione di euro.

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