Camicia Brunetta
"In ufficio alle 8!"

Mussolini nel '41 strigliò gli impiegati pubblici. La circolare, sconosciuta agli storici, è emersa dall'archivio di Michele Moretti, ritrovata dall'editore Nicoli



di Carla Colmegna

«...Alle 8 chi non è già al suo tavolo di lavoro ha perduto la giornata con le relative conseguenze. Alt. Farò controllare quanto sopra. Alt». Firmato: Mussolini. Sì, Mussolini, non Brunetta. Benito, non Renato. Duce, non ministro della Funzione pubblica. La storia a volte è davvero burlona, i fatti accadono, passano, si dimenticano e poi tornano, gli stessi, o quasi. Se non ci fosse la firma tutta in maiuscolo e una data, 19 maggio 1941, ci si potrebbe quasi confondere. Il documento è inedito e proviene dall’"Archivio Michele Moretti" (1908-1995), (l’ex partigiano nel commando che giustiziò Mussolini a Giulino il 28 aprile 1945) di Aldo Nicoli di Como; l’originale faceva parte delle carte di Giusto Perretta. Letto il perentorio telegramma, inviato dall’«Istituto Nazionale Fascista per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro» agli uffici pubblici italiani, c’è da chiedersi: Brunetta l’avrà letto e vi si sarà ispirato? Al di là dell’ironia, il contenuto del documento merita un approfondimento. E il professor Livio Antonielli, docente di Storia delle istituzioni politiche all’Università degli Studi di Milano, ritiene che rivolgersi così ai dipendenti pubblici è tipico di chi bada molto più alle apparenze più che alla sostanza, a se stesso più che al bene comune.
 
Professore, nel 1941 come nel 2008?

Il documento è molto curioso. Non penso che il modo di fare di Mussolini e quello di Brunetta, che nella sostanza sono uguali, sia quello giusto per migliorare l’efficienza. Un telegramma come quello del duce è nello spirito del periodo, dà molta visibilità e consenso, ma si scolla dalla realtà. Il fascismo è stato il primo periodo in cui in Italia si bada molto di più alla comunicazione che non al concreto. Non è detto che uno che arriva alle 8 lavora meglio di chi arriva alle 8.15.

Vuol far intendere che anche Brunetta bada più all’immagine che ai fatti pur proclamando il contrario?

In larghissima misura anche oggi come allora con poco costo progettuale si dà luogo a qualcosa che miete consensi. Si redarguisce un’amministrazione che, se oggi è così grande, lo è per scelte politiche.

Guardando alla storia d’Italia, qual è il periodo di maggior ordine e rigore, cui oggi si vorrebbe somigliare?

Senz’altro l’età liberale. Allora, l’essere parte della burocrazia voleva dire fare una carriera molto rigida, avere paghe bassissime, ma un prestigio altissimo. Vi si entrava dopo anni e anni di volontariato, le carriere erano molto lente. Il guaio di oggi è che a fare proclami alla Brunetta si rischiano effetti devastanti. Chi lavora bene perde il senso della dignità e dell’importanza del suo ruolo e tutto diventa ingestibile. Quando si spara nel mucchio si delegittima la categoria, molti dipendenti pubblici guadagnando cifre modeste e hanno offrono altissima efficienza e professionalità. Il sistema funziona grazie a loro. E poi, molti incarichi vengono mantenuti per esigenze politiche, clientelarismi. La burocrazia non è cresciuta spaventosamente oggi, ma in età giolittiana e nel dopoguerra: aumentava la base elettorale, si doveva rispondere alle richieste di chi votava e mantenere l’equilibrio politico.

Brunetta, come Mussolini, sbaglia?

Pensare di rimettere in piedi la baracca con un po’ di fermezza, tipo le 8 del duce, è una patetica illusione con gran ritorno di immagine. Chi lo fa pensa più alla propria carriera che all’interesse generale. Brunetta finirà per demotivare chi lavora seriamente. Bisognerebbe invece contenere le assunzioni, distribuire le risorse in modo uniforme e non a fini politici. Chiaro, fare così non dà visibilità immediata.


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Vince Brunetta
dove il duce
fu sbaragliato?


di Antonio Marino

Il ministro Brunetta è convinto che nella pubblica amministrazione italiana il problema dei "fannulloni" è stato - grazie alle sue pirotecniche iniziative - definitivamente risolto. Drasticamente calate le assenze per malattia, i pubblici dipendenti sarebbero stati indotti da un nuovo e inedito clima di rigore ad applicarsi ai propri compiti con uno zelo mai visto prima, rinunciando non soltanto alle assenze per motivi più o meno reali di salute, ma anche ai trucchi e alle piccole furbizie che da tempo immemorabile "alleggeriscono" l’impegno lavorativo nei falansteri che ospitano i travet al servizio dello Stato. Sarà. Noi non abbiamo nessun motivo di mettere in discussione l’affermazione di Brunetta, che evidentemente ha solide basi statistiche a disposizione del ministro. Eppure, l’esito fausto di questa autentica rivoluzione del costume non può non suscitare qualche interrogativo se lo si mette a confronto con il clamoroso precedente del quale in questa pagina si dà notizia. Se il successo dell’operazione anti-fannulloni sarà confermato, il ministro Brunetta potrà infatti vantarsi - oltre a tutti gli altri suoi meriti - di aver ottenuto un successo là dove lo stesso Benito Mussolini dovette registrare uno scacco, malgrado i toni perentori della sua nota, l’ordine della più "scrupolosa osservanza", gli alt secchi e telegrafici, i DUCE e MUSSOLINI rigorosamente scritti in maiuscolo perché non sfuggisse ai pigri burocrati l’origine della direttiva. Era il 1941, la primavera di un dolce maggio che, malgrado la guerra e i tanti guai, entrava anche dalle finestre aperte dei ministeri e, visto quello che è successo dopo, Ufficiali e Funzionari prestavano più attenzione ai profumi dell’invitante venticello romano che ai richiami del dovere. Del resto, lo stesso Mussolini, mentre sparava ordini draconiani, non dimenticava la propria scarsa considerazione per i suoi ventruti concittadini, così pigri e refrattari al salto nel cerchio di fuoco, e citava la «deleteria tara del carattere di troppi italiani». Sessantanove anni più tardi è tornata la stessa battaglia. Brunetta la dà per vinta. Se così fosse un monumento (magari un monumentino) lo meriterebbe di sicuro.

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