Università, così vince
il "modello Svizzero"

Mentre in Italia infuriano le polemiche contro la riforma Gelmini, che promette meritocrazia, ma prevede anche tagli drastici a risorse e carriere, la Confederazione elvetica punta molto sul sistema accademico. I risultati non mancano. Ma tra i docenti c'è chi dice che, anche al di là del confine, contano i giochi politici...

di Laura Di Corcia 

Nel pieno delle tensioni suscitate dalla riforma dell'Università italiana, firmata dal ministro Mariastella Gelmini, è interessante dare un'occhiata a cosa succede a poca distanza da noi, in Svizzera. Per scoprire che si tratta di un "mondo a parte", per investimenti e risultati.
Che le università elvetiche siano conosciute in tutto il mondo per prestigio ed efficienza, non è un dato nuovo. Ma che dire dell'ateneo più giovane, quello luganese, un ateneo che conta quattro facoltà (architettura, scienze della comunicazione, scienze economiche e scienze informatiche) e che si trova proprio oltre il confine, tra Mendrisio e Lugano? Una realtà nata da soli quattordici anni ma che è riuscita a ritagliarsi un suo spazio in un contesto formativo all'avanguardia, riconosciuto a livello internazionale come uno dei migliori d'Europa.  Si pensi che nella classifica del 2009 stilata da Times Higher Education, il Politecnico di Zurigo è risultata la migliore scuola universitaria al mondo al di fuori dei confini della Gran Bretagna e degli Stati Uniti; ma anche gli Istituti romandi si difendono bene. Rispetto al 2008, il Politecnico di Losanna è passato dalla quarantaduesima alla trentaduesima posizione. Questi sono dati che incoraggiano la realtà accademica svizzera in generale, e un esempio è proprio l'Università della Svizzera italiana, che, oltre alle quattro facoltà, presenta 31 Istituti e laboratori, offrendo 21 Master biennali, 5 scuole dottorali e 6 progetti di Executive Master. Un ateneo che, per reggere al confronto con il resto della Confederazione, punta verso due direzioni: l'internazionalità e l'interdisciplinarietà. E difatti, spiega il presidente, Piero Martinoli: «Siamo poi fieri di essere – in termini percentuali – l'ateneo più internazionale di tutta la Svizzera: il 60% dei nostri 2700 studenti non proviene infatti dalla Confederazione ma dall'Italia e da oltre ottanta paesi sparsi sui 5 continenti». L'interdisciplinarietà è un secondo e importantissimo pilastro, che permette un connubio fra le tecnologie più avanzate e il campo umanistico, imprescindibile per formare professionisti consapevoli. «Da noi la finanza è legata anche alla linguistica ed al giornalismo, il marketing al campo della salute pubblica, l'architettura all'antropologia, il management ad una visione strategica della comunicazione, l'ingegneria del software alla grafica tridimensionale, solo per fare alcuni esempi. Crediamo nell'interdisciplinarità tra contesti formativi e nell'originalità di nuovi campi non ancora sviluppati da altri, come le scienze computazionali, le quali stanno trasformando il modo di fare ricerca e di pensare alla conoscenza stessa dell'uomo».
Al di là dei principi di base, contano anche gli investimenti: ebbene, un ateneo così piccolo investe ben 9 milioni di franchi nella ricerca, ovvero il 12 per cento del budget totale. E si vede. Particolarmente interessanti risultano i progetti interdisciplinari, portati avanti con l'ausilio di altre Facoltà, come la scuola dottorale Red-Ink. «Rethinking education in the knowledge society», che si prefigge di comprendere le problematiche legate all'introduzione dell'e-learning nel contesto formativo. A questo progetto partecipano, oltre all'Usi, anche l'Università di San Gallo e il Politecnico di Losanna; ognuno dei tre Istituti si occupa di sondare un aspetto diverso della questione. Tra i vari centri di ricerca, suscita parecchia curiosità l'"Osservatorio europeo di giornalismo, volto a rilevare le tendenze più significative nel mondo dei media, comparando i diversi sistemi dei media e le ricerche scientifiche provenienti da Europa e Stati Uniti. Sul sito, www.it.ejo.ch, è possibile leggere una serie di articoli che propongono una lettura critica di alcuni fenomeni rilevanti dei media. Una chicca: esiste un collegamento fra linguistica e malattia? Alcuni ricercatori dell'Institute of Communication and Health credono di sì. O meglio: sicuramente la comunicazione in ambito medico-sanitario svolge un ruolo non secondario nell'approccio del paziente alla malattia, influenzandone la comprensione e la percezione. E queste sono tematiche attuali, oltre che utili in un'ottica di miglioramento della qualità della vita. Un esempio di come l'interdisciplinarietà possa essere utile nel campo della ricerca… 

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(l.d.c.) «In Italia i giovani ricercatori raramente insegnano». Parola di Johanna Miecznikowski, filologa e linguista laureata all'Università di Basilea, ricercatrice per tre anni all'ateneo di Torino. Oggi insegna all'Università della Svizzera Italiana.

Qual è la maggior differenza fra il sistema universitario italiano e quello svizzero?

In Svizzera i dottorandi vengono introdotti gradualmente nell'insegnamento. Cosa che in Italia, almeno per quanto ho potuto notare durante i tre anni trascorsi all'Università di Torino, non accade. Ho avuto l'impressione che si preferisca assegnare certi compiti a professori che abbiano già maturato una certa esperienza.

E questo è un male?

Per i giovani ricercatori sì. Anche perché, se cercano un lavoro fuori dall'Italia, devono avere questa esperienza. Dal punto di vista degli studenti non saprei. C'è da dire che l'inserimento di solito avviene gradualmente: gli assistenti si occupano di seminari e cose burocratiche, ma fanno sempre capo a un Professore con un'esperienza più solida della loro.

E se dovessimo parlare di meritocrazia?

In linea teorica in Italia dovrebbe esserci maggiore obiettività, perché il sistema dei concorsi è gestito a livello nazionale, mentre in Svizzera è controllato dai singoli Istituti. Ma poi in pratica non è così. Ogni sistema rimane comunque vulnerabile ai giochi politici.

Quindi questo accade anche in Svizzera...

Sì, questi giochi ci sono anche qui. Poi la scelta totalmente oggettiva è un mito.

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