Cronache dei tempi
della grande povertà

La storica Licia Badesi ha pubblicato una preziosa ricerca di storia sociale "minuta", relativa alle classi popolari comasche tra il '700 e l'800. Un lavoro di scavo tra i documenti dell'Archivio di Stato ha riportato alla luce un mondo lasciato del tutto ai margini della "grande Storia". Affiora anche un profilo della condizione femminile oscillante tra oppressione e autonomia imprenditoriale. Lo pubblica l'editore Geniodonna.

di Manuela Moretti

Mendicanti, artigiani, bottegaie, lucciole, donne delle miniere del ferro, chiaroveggenti, viandanti: sono questi i protagonisti del volume di Licia Badesi "La rivolta del capitano e altre cronache. La vita della gente comune a Como e nel Cantone Ticino (dalla metà del '700 alla metà dell'800)" (Edizioni Geniodonna, 20 euro; in vendita a 15 euro per gli abbonati al mensile italo-ticinese "Geniodonna") che raccoglie le testimonianze della gente comune  dell'area comasca e del Canton Ticino tra la metà del Settecento e la metà dell'Ottocento.
Lavoro, sommosse, violenza e povertà sono al centro di questo intenso racconto-cronaca che prende vita grazie a un lungo lavoro di consultazione di più di 200 faldoni presenti nell'Archivio di Stato di Como. Il libro può essere ritirato direttamente alla redazione del mensile "Geniodonna" (dalle 9.30 alle 12:30 e dalle 15:30 alle 18:30; viale Giulio Cesare, 7, Como; per informazioni, telefonare al 031 2759236 o inviare una mail a [email protected]). Abbiamo chiesto all'autrice, fine umanista e storica, con un passato di impegno politico al Parlamento, di svelare curiosità e aneddoti raccolti nel libro ai lettori de "La Provincia".

Signora Licia Badesi, come è nata l'idea del libro?

Lo spunto principale, il progetto da cui il volume ha preso forma, è il desiderio di far emerge dalla cronaca la vita della gente comune, della gente qualunque, quella di cui non si parla - spiega la storica -. Mentre le grandi famiglie lasciano dietro di sé documenti d'archivio per l'eredità che devono consegnare ai successori, la gente comune non entra, di norma, nelle sale dei notai. E fa trapelare qualche traccia di sé solo quando incappa in qualche problema con l'amministrazione o semplicemente quando si presenta la necessità chiedere permessi e autorizzazioni per aprire negozi o vendere qualcosa. I documenti oggetto della mia indagine, che provengono dall'Archivio di Stato di Como, vanno dalla metà del Settecento circa a metà dell'Ottocento, ma alcuni sono anche precedenti, e risalgono ai primi decenni del Settecento.

Il volume raccoglie le testimonianze di poveri e mendicanti. Qual era il loro destino?

Esistevano  una quantità di poveri che andavano in giro a cercare la carità. Per mendicare si doveva portare un distintivo, non bisognava essere invadenti ed era necessario avere un permesso: chi non lo possedeva finiva davanti all'autorità.

Quali figure di donna emergono dai documenti?

Le donne le ho trovate soprattutto laddove volevano aprire un negozio: ho immaginato di percorrere le strade della città di Como in quei periodi per andare a comprare il pane. Ho trovato diversi negozi gestiti da donne che avevano l'autorizzazione per aprire l'esercizio e vendere il pane di miglio, quello di segale e frumento o quello misto. Il volume raccoglie altre storie al femminile, come quella delle donne che dovevano portare giù il ferro dalla val Varrone: dal momento che i cavalli non potevano camminare su quei sentieri perché si sarebbero facilmente azzoppati, ci mandavano le donne che portavano giù dei pesantissimi carichi di ferro, che superavano i 30 chili.
I documenti testimoniano anche la presenza del Luogo Pio, dove venivano rinchiuse le donne che davano l'impressione di condurre una vita poco rispettabile…

Il Luogo Pio delle donne convertite - o Conservatorio dell'Immacolata sotto la parrocchia di Sant'Eusebio - accoglieva solo le donne di bell'aspetto che avevano l'aria di voler battere il marciapiede; le vecchie, che non erano ritenute nella condizione di poter esercitare, venivano lasciate per la strada.

Qual è la vicenda che dà origine al titolo del volume?

Il titolo "La rivolta del capitano" è venuto fuori perché uno dei documenti più corposi che ho trovato riguardano quest'uomo che viene arrestato per aver diffuso due o tre manifestini che invitavano alla rivolta. In realtà poi la cosa finisce e va finire nel nulla perché prove contro di lui non ce ne sono e chi ha scritto i volantini resta un personaggio misterioso.  
Infine, la vicenda più corposa e complessa che ho trovato in questa mia ricerca riguarda un processo per stupro che risale al 1862.

© RIPRODUZIONE RISERVATA