Rodin e Camille, un amore
ritratto da Massimo Clerici

L'artista comasco di fama internazionale ha dedicato 23 anni della sua vita alla comprensione del misterioso legame tra i due scultori francesi, che procurò alla donna un ricovero trentennale in manicomio. Da questo tributo è nata una mostra, allestita dal 1° al 30 ottobre al Broletto. Ecco il catalogo in pdf.

di Alberto Longatti

Con la tragica e patetica vicenda che accomunò un grande scultore, Auguste Rodin, e una promettente artista, Camille Claudel, Massimo Clerici aveva un conto aperto fin dal 1988. S'imbattè in quella storia, che da non molti anni è diventata di pubblico dominio, studiando l'opera di Rodin. E scoprendo che in essa c'è tutto, la dilatazione senza confini dell'impasto di passioni umane estreme, l'amore inteso anche come sfogo dei sensi e dominio, la follia, la gioia e la disperazione, l'ansia impetuosa di vivere e la discesa inerte verso il disfacimento.
Rodin era un grande artista, ma egocentrico, disordinato, proclive a moltiplicare le sue relazioni erotiche anche se non ripudiò mai la donna, la rustica e fedele Rose Bennet, che gli aveva dato un figlio. Camille non era una delle tante donne che gli erano passate fra le braccia ma una ragazza di particolare avvenenza, ricca di una grazia selvaggia, con gli occhi color pervinca, intelligente e volitiva, artista di vocazione sicura. Quando la conobbe, lui aveva 43 anni, lei solo 18. E scoccò subito la scintilla. Camille venne soggiogata dalla creatività dell'amante ma dal canto suo seppe far valere le sue doti, anche se erano diversi per temperamento e resa espressiva, che nella giovane donna si concentrava nello sciogliere la materia, renderla morbida e movimentata, mentre il maestro rendeva il meglio di sé nella possanza del gesto scultoreo. Il sodalizio amoroso durò dieci lunghi anni, fra incanti e tempeste, fughe e ritorni. La gelosia di Camille fu uno degli elementi determinanti della rottura, ma non il solo: certo contò più di ogni altra cosa il suo temperamento focoso e squilibrato, oltre alla scelta angosciante di rifiutare un figlio che aveva in grembo. La separazione di comune accordo lasciò nell'uomo una costante nostalgia. Ma è soprattutto in Camille che le conseguenze furono devastanti, la condussero ad una depressione tale da rendere inutili i suoi sforzi di affermazione in campo professionale: si ridusse a distruggere tutto ciò che scolpiva, a vivere in una spelonca, a trascurare persino il suo corpo. In questo stato miserevole la trovò il fratello Paul a Parigi, inducendolo a prendere la tremenda decisione di internare la donna in un ospedale psichiatrico. Può darsi che l'uomo, valente scrittore e autorevole diplomatico di carriera, fosse animato dal desiderio di recuperare la sorella al consorzio civile. Certo non era questo lo scrupolo della madre, una severa bigotta che non aveva mai perdonato la figlia di aver provocato lo scandalo di un'unione illegale. Così Camille rimase in  manicomio per ben trent'anni, sola. A nulla valsero le sue implorazioni di tornare a casa, quando la follia che le aveva sconvolto il cervello le concedeva qualche momento di lucidità.

(Leggi l'intero articolo sull'edizione de La Provincia di Como in edicola il 28 settembre)

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