Il fantasma sul Lario
In Orobie di ottobre

Il mensile, da oggi in edicola il numero di novembre, ha dedicato un ampio articolo al fantasma di Gian Giacomo de' Medici

(g. inv.) Un fantasma di aggira per il Lario.
È quello di Gian Giacomo de' Medici, detto il Medeghino, che, anche se in forma di ectoplasma, continua ancora oggi ad attaccare barche e comballi sparendo regolarmente tra le rovine del suo quartiere generale: la rocca di Musso.
Di tutto questo parla la rivista Orobie (112 pag., 4,90 euro) in edicola questo mese. Infatti, nell'articolo intitolato "Sulla rupe del falco", con testo e fotografie di Massimo Tognolini, abbiamo la possibilità di compiere un vero e proprio viaggio nel tempo, tanto per essere precisi dal XVI  al XXI secolo, e coniugare così in un solo colpo la storia con l'immaginazione. Del resto, visto quello che rimane del fortilizio, una buona dose di fantasia è indispensabile per ricostruire i bei tempi andati.
Una riflessione , questa, messa a frutto nel famoso romanzo storico di Bazzoni che dipinge un efficace ritratto di quanto accadeva tra quelle mura fortificate: "Quivi erano macchine a sega per le travi, telai per le vele, attorcigliatoi per le gomene e il cordame minore  per fabbri: quivi scortecciavansi gli olmi ed i pini per l'alberatura, e bollivasi la pece e il catrame per calata fare e rimpalmare i legni". Attività doverose visto che il "falco della rupe", nome creato ad hoc dal Bazzoni per il Medeghino, aveva  urgente bisogno di incrementare la propria flotta dopo il colpo di mano che lasciò gli Sforza con un palmo di naso. Infatti: "Nel 1523 il castello si arrese alle truppe spagnole che restarono in attesa di cederlo agli sforzeschi. Al loro posto si presentò invece il Medeghino, fratello di Pio IV, e spacciandosi per l'inviato del Duca, dopo aver pagato il soldo ai militi, si fece consegnare la fortificazione". Inutile dire che fino al 1532, anno della sconfitta per opera degli eserciti delle Tre Leghe e di Francesco II Sforza, Gian Giacomo de' Medici spadroneggiò in lungo e in largo divenendo di fatto il vero padrone del Lario. Raggiungere oggi il luogo di tante vicende non risulta molto difficile. Basta lasciarsi Dongo alle spalle ed imboccare "uno dei tratti più suggestivi e ben conservati" dell'antica strada Regina. Una mezz'ora di cammino ed il gioco e bell'e fatto: "Celate dalla vegetazione si riconoscono rovine di imponenti fortificazioni, un cospicuo torrione aggrappato tenacemente alla roccia, un vano sopravvissuto che si rivela attraverso una feritoia". Con un poco di immaginazione si possono anche udire le deflagrazioni delle mine che gli eserciti sopracitati fecero brillare nel Cinquecento per punire l'arroganza e l'astuzia  del "falco della rupe".

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