Mercato dell'arte in crisi
Si ritorni ai "classici"

Le opere moderne, per lo più realizzate nel Novecento, hanno una sola lettura. Gli antichi, invece, si prestano a più percorsi interpretativi: anche per questo suggestionano di più, anche sul piano degli acquisti. Tra Fontana e Pisanello, chi ha più appeal? Ecco le riflessioni di Giuliano Collina, pittore, critico e docente d'arte, su questo difficile momento.

di Giuliano Collina

Tempo di crisi. L'economia versa in gravi, gravissime condizioni. Anche la politica, e non solo la sua casta, ma anche le sue motivazioni, i suoi valori, l'etica. Così anche le istituzioni rapportate ai cittadini e dunque anche la società nel suo complesso.
Mai, a quanto mi ricordo, ho sentito così nettamente il peso di un futuro tanto incerto, così nebuloso e non solo perché mai come oggi ho provato la netta sensazione dell'ineluttabilità di quanto si prospetta a breve tempo: un po' come se qualsiasi volontà di noi ometti contemporanei fosse ben futile cosa nei confronti del plumbeo colore del prossimo futuro. Forse abbiamo anche reso vana persino la buona volontà. E l'economia in prima battuta è quella che più mostra l'impotenza del nostro operare.
Naturalmente i beni che più risentiranno della stretta economica saranno quelli superflui e tra questi certamente l'arte, cioè l'opera dipinta, i quadri e l'oggettistica d'arte. Ne siamo, credo, tutti consapevoli: dell'opera d'arte si può fare tranquillamente a meno… almeno per un po'. Quando manca il nutrimento del corpo, quello dello spirito può aspettare. L'arte è roba per pance piene e dunque il futuro prossimo vedrà una nuova figura sociale: il pittore impoverito. Già se ne intravedono i preliminari: le mostre nelle gallerie d'arte, pur sempre magari visitate, sono però prive di bollini rossi (quelli che testimoniano dell'opera venduta). Oggi i pittori si sono ridotti ad aizzare i mercanti, perché assillino spudoratamente i collezionisti che a loro volta si defilano. Naturalmente, a proposito del mercato dell'arte, non si possono trarre frettolose e superficiali conclusioni, guai fare un solo fascio  di tutto quello che succede nelle aste, sul mercato. Quasi certamente gli "artistar" saranno duri a morire. I loro prezzi, già definiti da capogiro, resteranno immutati ancora per lungo tempo: certo venderanno sempre meno, ma non demorderanno mai da quelle cifre e faranno bene, perché potrebbe anche succedere che, pur dimezzandole o riducendole ai decimali, i grandi maestri di oggi non trovino nemmeno così acquirenti. Il mercato dei grandi artisti e dei grandi prezzi è fermo, congelato in attesa di tempi migliori, ma immobile è anche quello di quei pittori che, anche loro professionisti, vivevano di quanto era possibile vendere di volta in volta a qualche estimatore, a qualche fedele collezionista e, perché no, a qualche amico.
L'Arte Moderna, cioè quella prodotta nel Novecento (non quella di oggi che è l'arte contemporanea) da qualche decennio era, almeno dagli appassionati, seguita, capita e perseguita nel desiderio di farsene anche piccole collezioni. Da un po', più nessuno si stupiva degli eccessi degli artisti. I musei la esponevano con sistematica frequenza, i visitatori non mancavano e le pareti delle case private, delle ville, degli appartamenti di prestigio spesso ostentavano "arte moderna". Insomma l'arte moderna sembrava che finalmente l'avesse vinta sul perbenismo dei tranquilli borghesi, a loro volta ormai pronti a riconoscere grandezza artistica anche a quegli autori che continuavano a sbeffeggiarli. Il "dito erto" di Cattelan in Piazza della Borsa a Milano continua a testimoniare proprio la capacità della nostra società di fagocitare di tutto, anche ciò che è stato precipuamente creato per stigmatizzarne i falsi valori.
Non è certo la prima volta che il mercato dell'arte subisce momenti di stallo, è nella natura del nostro sistema economico alternare euforia a depressione, ma così, come si prospetta oggi, lo scenario futuro non sembra avere spazio per ottimistiche alternative. Potrebbe infatti succedere che la crisi si protragga per lungo tempo e di conseguenza che nessuno più collezioni l'arte moderna, fino al punto che…? Fino all'oblio di tutto quanto è stato dipinto nel ventesimo secolo? L'arte moderna (e non sembri che quanto segue voglia essere un giudizio di qualità) ha una sua precipua caratteristica nei confronti di quella antica: si esprime su un unico livello, dice una sola cosa, si rivolge solo a chi è in perfetta sintonia, a chi è coscientemente disponibile, mentre l'arte antica, quella medioevale, quella rinascimentale, barocca o neoclassica si offre a più livelli di ascolto, di lettura. Un dipinto antico, per esempio lo splendido affresco di Pisanello con la storia di San Giorgio, la principessa e il drago, eseguito per la chiesa di Sant'Anastasia a Verona, presenta una straordinaria molteplicità di argomenti: è una storia sacra, ma anche e contemporaneamente mondana, di corte. Palafrenieri, cavalli, cani accompagnano San Giorgio come un nobile cavaliere.
La città che si vede sullo sfondo è un catalogo di architetture del tempo. I costumi, analizzati anche nei particolari (si veda soprattutto l'abito della principessa), sono precisa testimonianza della moda del quattrocento. Le armi, i finimenti potrebbero figurare in un manuale, così come la natura analizzata pianta per pianta, foglia per foglia; e non solo, perché anche il macabro particolare degli impiccati ci fa pensare non certo a un generico capriccio compositivo bensì a qualche nascosto, ulteriore significato simbolico. Pisanello è un pittore per tutti: per i nobili committenti, ma anche per i popolani bisognosi di agganci al realismo quotidiano, per gli intenditori d'arte, ma anche per chi si accontenta di leggerne la mera iconografia.
Non così certo per un'opera del Novecento, dove, per capirla,             è assolutamente necessario decodificarne l'unico livello di lettura, quello criptato nelle intenzioni del suo autore.
Di fronte a un taglio di Fontana, o ci si impegna nello sforzo di condividere quelle intenzioni: la voglia non solo provocatoria di mettere in crisi, appunto con un taglio, persino il supporto della pittura cioè la tela e il bisogno di creare una nuova ipotesi di spazio, oppure non ci rimane che constatarne la sua distruzione (della tela).
Se l'economia continuerà impegolata nello stallo di questi mesi, il mercato dell'arte moderna potrebbe non risollevarsi. Forse le opere del Novecento non saranno più commercializzate, chi le ha, se le terrà suo malgrado fino a quando non se ne perderanno i parametri, appunto fino a quando l'oblio le avrà accantonate.
Brutto scenario questo, oltremodo negativo. E non se ne compiacciano coloro che, armati dello scetticismo di sempre, vorranno gridare: «Ve l'avevo detto». Tacciano, perché se scomparirà un pezzo della nostra storia dell'arte, tutti noi, consenzienti e non, saremo privati di un pezzo della nostra storia di uomini.

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