Bocca, il partigiano
del giornalismo libero

Di sinistra, eppure sempre indipendente, autentico spirito critico, si è spento a 91 anni il reporter e scrittore di origini cuneesi. Nel 1976 era stato tra i fondatori del quotidiano "La Repubblica". Scarica e leggi la sua ultima intervista a "La Provincia", del 2010.

di Davide G. Bianchi *

Una delle sue ultime interviste, proprio per "La Provincia", risale al febbraio 2010 per l'uscita del libro "Annus Horribilis" (Feltrinelli). Nonostante Giorgio Bocca avesse già significativi problemi di salute, dopo quel libro - in poco più di un anno - è riuscito a pubblicarne altri due: "Fratelli coltelli" (nel 2010 sempre con Feltrinelli) e "Aspra Calabria" (Rubbettino, 2011: un reportage che lo riportava al giornalismo puro, quello in cui il cronista viene inviato sul luogo dei fatti da raccontare).
Della conversazione con Bocca di un anno fa ricordo un episodio gustoso: l'ufficio stampa dell'editore mi diede indicazioni in merito alle modalità del contatto, viste le sue condizioni; telefonai e rispose il figlio, che faceva da tramite con il padre che sedeva accanto a lui: «È un giornalista, dice se ti fai intervistare per il libro»; la sua risposta, come sempre, fu molto sbrigativa ma, nello stesso tempo, spiazzante: «Va bene, digli di venire qui». Un attimo di gelo colse sia me che il figlio, il quale fu il primo ad uscire dall'imbarazzo: «Papà, adesso le interviste si fanno al telefono». E lui, ancora più sbrigativo: «Va bene, mettiti d'accordo tu con lui».
Giorgio Bocca era così. Classe 1920, era figlio di due insegnanti del cuneese che lo avevano mandato a studiare legge a Torino. Ne era tornato con la laurea in tasca, ma con la voglia di scrivere. Ma il tempo per pensare a questi problemi non c'era: nel 1942 veniva arruolato come ufficiale degli alpini, in servizio sulle sue montagne. Dopo l'8 settembre aderì alla lotta partigiana per "Giustizia e libertà", la formazione che avrebbe dato vita al Partito d'azione. E qui emerge un punto che si deve sottolineare: «Sono di sinistra, ma non sono mai stato comunista - amava precisare - Anzi, per certi aspetti sono anti-comunista, perché sono sempre stato social-democratico… parola che non a caso i comunisti usavano come insulto!».
Dopo la guerra, la prodigiosa carriera giornalistica: "Gazzetta del popolo", "l'Europeo", "Il Giorno" di Enrico Mattei e, nel 1976, "La Repubblica", di cui è stato fra i fondatori. Come altri, negli anni ottanta si è fatto tentare dalla televisione, traendone poche soddisfazioni. Il suo lavoro vero era la scrittura, in cui restava visibile, fra le righe, la sua impareggiabile schiettezza, ma con essa anche l'acume e l'intelligenza che tutti gli riconoscevano. Qualche titolo? Si deve scegliere fra ben 60 volumi che sono andati in libraria con la sua firma! Il più noto è senza dubbio "Il provinciale", degli anni Novanta, che portava come sottotitolo: "Settant'anni di vita italiana", vista appunto dall'angolatura della provincia italiana. E poi tanti di libri che dalla cronaca passavano alla storia, testimonianza di un grande giornalista che, guardando al medio periodo e non solo alla notizia quotidiana, cercava di un'unire qualche interpretazione ai nudi fatti di cronaca politica.
Era il "Montanelli di sinistra"? In un certo senso sì. Stesso amore per la polemica, stessa voglia di gettarsi nella mischia usando la propria penna come arma. Ma sempre con stile, come il vecchio Indro. È significativo che negli ultimi anni abbia polemizzato non solo con i berlusconiani, ma anche con Giampaolo Pansa, che sulla carta era il giornalista che più gli assomigliava. Verve popolana entrambi, tutte due della provincia piemontese.
Eppure così diversi, più di quanto potesse sembrare a prima vista: Bocca era un popolano che era stato accettato dall'establishment di sinistra, e alla fine cooptato al suo interno; Pansa no. È un aspetto non marginale che può essere utile per leggere più in profondità l'uomo e l'intellettuale Bocca: i suoi libri potevano essere originali nello stile, facevano parlare per l'intelligenza che mettevano in luce, ma in fondo non si discostavano mai dal mainstream politico che era gradito alla sinistra, intellettuale più che politica. In ciò era un perfetto esempio di giornalista-intellettuale del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari: quando Montanelli gli diceva che, in fondo, la Resistenza era stato un fatto elitario che non aveva mai coinvolto i ceti popolari, rispondeva che questi davano un supporto morale, politico e, quando serviva, anche logistico. E questo era sufficiente per renderli partecipi della Resistenza? Era vero? Con il passare degli anni e con il consolidamento del regime democratico, i più giovani hanno imparato a rinunciare a un po' di retorica per un po' di verità in più. Bocca no: lui apparteneva alla generazione che si era data il compito di difendere quell'esperienza, perché la nostra democrazia era nata lì. E bisognava difenderla. Sempre. Come sulle montagne.      

(* Docente di sociologia dei fenomeni politici all'Università dell'Insubria, ha curato le "Lezioni di politica" e i "Discorsi parlamentari" di G. Miglio, per Il Mulino)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Documenti allegati
Eco di Bergamo INTERVISTA A BOCCA