Come vivere a - 71°
Ecco l'inferno bianco

Si è molto parlato di gelo siberiano. Ma com'è la vita in Siberia. Lo spiega uno specialista che ha insegnato, fatto ricerca e vissuto in quelle terre. Alessandro Vitale, 50 anni, scienziato della politica e allievo di Gianfranco Miglio, è docente di Analisi della Politica Estera nell'Università degli Studi di Milano. Ha soggiornato a lungo in Russia e in Siberia, insegnando al contempo nelle Università di Ekaterinburg e di Novosibirsk, conducendo ricerche a Barnaul, Norilsk e Yakutsk.

di Alessandro Vitale

«Siamo nella "morsa del gelo"». «Eh sì, è il…"gelo siberiano"…». Quest'inverno abbiamo sentito queste frasi per giorni, eruttate dai mass media e per la strada. Ma cos'è il "gelo siberiano"? Per noi europeo-occidentali il vero freddo, della Siberia più profonda - dove si sono raggiunti i -71° (in Yakutia, a Ojmjakon, il paese abitato più freddo del mondo, escludendo le basi scientifiche in Antartide) - va oltre i confini dell'immaginazione. Ne abbiamo un'idea vaga, che fa dei -40°/-45°, che pur di frequente si raggiungono anche in Ucraina e nella Russia europea, il limite massimo concepibile e sopportabile.
A raccontare di aver vissuto a -66° si rischia, infatti, di non essere creduti. Accadeva anche a noi, prima di raggiungere Ojmjakon, nel gennaio 2008, con una spedizione naturalistica composta da Eliana e Nemo Canetta, avventurosi geologi-naturalisti valtellinesi e scrittori di montagna, Giovanni Carugati e l'ingegnere americano Brian Justice. Sul fiume Indigirka, ricco d'oro, gelato da ottobre a giugno, che sfocia nel Mar glaciale artico, ci attendeva la temperatura di - 68°. Il ghiaccio era spesso un metro e mezzo. Avrebbe potuto sorreggere un palazzo di dieci piani. Il freddo era tagliente, indicibile. Il gelo siberiano autentico è quello che scende sotto i -60°. I letterati che hanno cercato di descriverlo senza averlo provato di persona, non ci sono mai riusciti. Anche i Russi europei, che sono pochi in queste terre (il 2%), fanno fatica a immaginare la vita in questo gelo. È al di sotto di questa temperatura che tutto cambia. Il salto fra i -55° e i -60° è, infatti, abissale. È come sbarcare su un altro pianeta. L'aggregazione atomica del ferro si ricombina e lo fa spezzare. Gli apparati elettronici si bloccano.
Elicotteri e aeroplani locali non possono più volare. Gli occhiali si appannano e si ghiacciano, si piegano come fossero di burro, ti si incollano alla pelle che, se non protetta, in pochi minuti si riempie di macchie bianche per l'arresto del sangue: è l'inizio del congelamento. I siberiani autoctoni di queste terre, gli Eveni, gli Evenki, i Nency, abili cacciatori, non sembrano però farci caso. Perfino in questo freddo, per di più umido, non sono mai coperti del tutto. Eppure, a questa temperatura, senza una mascherina per il volto, per noi è in agguato la paralisi. Il respiro si congela nei polmoni doloranti. Il fiato è emesso con un crepitante fruscio e aleggia a lungo nell'aria. Ma per loro non è il freddo la causa dei problemi di salute. Fra quelle montagne, vallate e su quelle terre immense bianche e silenziose percorrono con le renne che allevano, in pieno inverno, centinaia di chilometri su slitte e si accampano in tende con piccole stufe. È la corsa su queste slitte la vera discesa nell'abisso del freddo, il più insopportabile che abbia mai sperimentato. Il vento abbassa la temperatura di ulteriori dieci gradi, penetra nei vestiti, rende i guanti di pelliccia più spessi quasi inefficaci, taglia il volto con aghi appuntiti. Solo i piedi sono protetti dai celebri valenki, stivali di feltro, l'unica calzatura in grado di resistere a quella temperatura. Nei villaggi il riscaldamento non deve mai fermarsi. Altrimenti le case finiscono avvolte, dal tetto alle fondamenta, da una spessa coltre di ghiaccio. In queste isbe costruite con enormi tronchi intrecciati la vita è serena, scandita da ritmi e abitudini fatte di calore umano, di abilità antiche tramandate fra generazioni e di miti e leggende radicate in un ambiente naturale surreale. Vi dominano luci soffuse e il lavoro quotidiano. Fuori regnano l'allevamento e la caccia. Nelle stanze molto calde - uscendo l'escursione termica è di 90°! - si consumano pasti frugali, a base di pesce crudo e di carne di cavallo. Su centinaia di metri di ghiaccio perenne, più duro del cemento (il permafrost) la Siberia più profonda e la sua tundra bianca ospitano la vita di persone straordinarie, testimonianza vivente dell'inesauribile adattabilità umana, abituate nei secoli alle condizioni più proibitive del pianeta, variate di poco nel tempo e che pongono qualche dubbio alla teoria del "riscaldamento globale".
I cavallini yakut, ricoperti di pelo speso, di bassa statura e dal muso soave, vivono liberi all'aperto e brucano l'erba congelata scavando con gli zoccoli nella neve bassa e gessosa. Nelle loro pellicce i bambini vanno a scuola, le mamme attraversano indaffarate i villaggi con colbacchi di visone, pellicce che scendono ai piedi e solide calzature di pelle. Il nostro equipaggiamento da alta montagna - fatto di strati di calze, maglie e guanti - per loro era un po' insolito. I loro vestiti tradizionali della festa, ornati di pelliccia, sono ricchi di colori, che contrastano con la foschia grigiastra e il sole basso invernale, disco bianco nel cielo che d'inverno solca il cielo per poche ore. Abbiamo camminato per chilometri su strade bianche che si perdono nel nulla. Ci si sente cambiati, inondati da una misteriosa purezza. Non è facile però attraversare quelle terre. Un guasto al mezzo di trasporto significa rischiare la vita in un deserto di ghiaccio nel quale solo i popoli nativi siberiani sanno come si fa a sopravvivere, ingannando lo spettro sempre in agguato della "morte bianca".
I carcerieri del settantennale regime crollato avevano stretto un patto con lei, mandando volutamente a morire in queste terre, nell'arcipelago GULag, centinaia di migliaia di persone che, pur aiutate, quando possibile, dalle popolazioni locali, sarebbero scomparse in questo gelo e in un biancore smisurato, come ombre senza nome.

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Eco di Bergamo SIBERIA