Cultura e Spettacoli
Venerdì 16 Marzo 2012
Quando l'Italia giocava
a fionda e calciobalilla
Il cantautore e scrittore ha pubblicato il "Dizionario delle cose perdute": dal film parrocchiale la domenica pomeriggio ai giochi che non vanno più di moda.
C'è tutto il declino del mondo, nel libro di Guccini "Dizionario delle cose perdute". Prima, ai tempi d'oro, c'erano la Coca Cola (che per fortuna c'è ancora ma allora era stata appena inventata), i chewin gum che rimpivano la bocca e la maglia di lana, che nessuna voleva mettere, d'accordo ma resta sempre un must. C'era il lattaio (che portava una marca di latte, non diecimila) e il postino (uno, sempre quello). C'erano i pennini, il telefono, il cinema parrocchiale della domenica (venti lire due film "Bernardette" e "Torna a casa, Lassie"). E c'era il prete, il Prete con la maiuscola, uno per paese non come ora con il Paese alle prese con il calo delle vocazioni.
Ora ci sono Facebook, Twitter, la Redbull che farà anche star svegli ma ha un sapore orripilante, gli smarthphone che saranno pure fighi ma sono quanto di più scomodo si possa immaginare per chi era abituato a mandare sms e email senza guardare i tasti. Le sigarette ci sono ancora, ma adesso si sa che fanno male. E i giochi, beh, i giochi per bambini sono qualche milione ma non hanno quel fascino dei dieci che Francesco Guccini elenca nel suo libro, «la playlist del nostro passato, oggetti, situazioni, sapori che tornano a cantare» .
«Una volta al cinema pioveva - scrive il cantautore che dalla metà degli anni Settanta ha pubblicato 18 album e libri -. Pioveva perché la pellicola, di molto annosa e vetusta, era oltremodo rigata dall'uso e sembrava che ogni scena si svolgesse sotto un incessante acquazzone, ma questa cosa non ci disturbava, anzi...». Erano altri tempi, tempi lontani anni luce dalla tecnologia usata da Tom Cruise per l'ultimo "Missione impossible". Eppure Guccini ne ha nostalgia. Perfino della pettinatura a banana riservata a ogni neonato, immortalato nelle foto tipiche di allora su pelli di svariati felini. Si ricorda tutto quello che portarono gli americani, la Coca Cola certo, ma anche le cioccolate Hershey, il burro di arachidi e i pancakes e soprattutto quei pacchetti di cose lunghe e appiccose chiamate cicche. Guccini racconta di quelle gomme rosa tirate dentro e fuori dalla bocca, delle targhe che invitavano a non bestemmiare, dei cantastorie che giravano per strada e dei giochi che i bambini di allora avevano a disposizione. La fionda, il meccano, i tollini, la lippa, la cerbottana, i coperchini e, per quando pioveva, shangai e pulce.
Erano i tempi in cui sui tram e i bus c'era ancora il bigliettaio e il suo invito: «Avanti c'è posto». I tempi in cui le mosche erano così tante che in casa bisognava avere la carta moschicida. Ma soprattutto erano i tempi in cui, finita la guerra, tutti avevano voglia di ballare e allora si ballava ovunque. E qui il racconto di Guccini è esilarante. Con i ragazzi in branco da una parte e le ragazze, sorvegliate dalle vecchie donne di casa dall'altra. Poi i ragazzi gettavano a terra la sigaretta e andavano a scegliere la ragazza. «Balla signorina?». O quella iniziava subito a ballare oppure rispondeva: «No grazie», costringendo il cavaliere mancato a continuare la ricerca. Le madri, da parte loro, andavano in estasi davanti a un frigorifero nel negozio di elettrodomestici visto che nelle case esisteva la ghiacciaia con l'uomo del ghiaccio che non passava quasi mai e i panetti di ghiaccio che costavano troppo per le tasche di allora. Il libro di Guccini è una macchina del tempo. Un viaggio che potrebbe piacere anche ai ragazzi di adesso. Che hanno un'infinità di cose in più dei loro nonni. Ma l'entusiasmo, quello proprio no.
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