Linda la "staffetta"
di una brutta Storia

Incontro, a Como, con Rosalinda Zariati, 92 anni, che subito dopo l'8 settembre del 1943 entrò nella Resistenza, operando tra il Lario e la Valtellina. Guarda la fotogallery e il video di Carlo Pozzoni.

di Maurizio Casarola  *

In via Castellini esiste un gruppo di condomini della Edificatrice: sono le case costruite all'inizio del secolo scorso atte ad ospitare la classe operaia comasca delle tintorie e stamperie sparse su tutto il territorio. In un minuscolo appartamento di quell'agglomerato ancora oggi densamente abitato, vive la "Linda". Al secolo Rosalinda Zariati, splendida novantaduenne figura di spicco nella storia della Resistenza e poi della politica di Como. «Sono venuta ad abitare vicino alle Caserme nel 1942 appena dopo il mio matrimonio con il Canetta», ovvero Vittorio Saldarini, piccolo ma ottimo calciatore del Como durante il periodo fascista.
«Ho conosciuto Vittorio in una balera in via Milano» dice Rosalinda. «Lui era operaio in Ticosa, allora non bastava saper calciare il pallone per sbarcare il lunario» prosegue «io, ero la figlia della capolavandaia di Villa d'Este e operaia in Pessina».
«Sono cresciuta assieme alla mia unica sorella Eugenia in una casa del centro storico, all'angolo fra via Cinque Giornate e piazza Boldoni». Mamma Elvira, ticinese giunta in Italia per amore di un lariano, fa sacrifici enormi per tirare grandi le due figliuole, non essendo presente in casa la figura di un uomo. Le ragazze, dopo le scuole elementari di via Perti, iniziano a conoscere l'ambiente del lavoro impiegandosi presso le tintorie a quel tempo numerose in città.
Siamo negli anni fascisti e Rosalinda partecipa alle adunate ordinate dal regime: «Ma non sono mai rimasta convinta su quello che mi veniva ordinato di fare quando obbedivo ai dettami del Duce». Si sposa in Duomo e quasi subito vede il suo uomo partire per il fronte croato rimanendo da sola in via Castellini nella nuova casa ad aspettarlo. L'8 settembre del 1943, giorno dell'armistizio, lavora ancora in Pessina e Vittorio dell'esercito non ne vuole più sapere.
Lui torna a casa e cerca rifugio dandosi alla macchia presso i parenti della suocera in Ticino, mentre la sorella Eugenia, muore a soli venticinque anni minata dalla tubercolosi insieme ad una piccola bimba appena data alla luce. Rosalinda si trova senza sorella e marito, ma le situazioni ed i sacrifici da lei vissuti, sono serviti a forgiargli carattere indomito che la spinge a reagire. «Vedevo vicino a casa, alcune famiglie ebree in regime di detenzione dentro i locali della Tintoria Lambert». «Erano li, in attesa che i "capi" della Repubblica Sociale, di stanza nell'Ufficio Investigativo della vicina Caserma De Cristoforis decidessero del loro futuro». È avvicinata da "Tia" Pedraglio, attivista del Partito Socialista d'Unità Proletaria  (Psiup) che la convince a tesserarsi. È così che inizia la sua nuova vita contro il regime fascista. Su un treno delle Nord conosce Nella Caleffi, una energica donna veneta che coordina i partigiani della Brigata Matteotti fra i nuclei di Milano e quelli della Valtellina. Oramai il suo destino sembra essere segnato.
Alla proposta della partigiana di fungere da staffetta per i dispacci segreti, Rosalinda non esita e risponde di «sì». «Mi spostavo in bicicletta, a piedi, in treno, per giungere a Lecco, in Alto Lago e Valtellina a recare messaggi ai compagni partigiani» dice "Linda". A Buglio in Monte assiste ad una esecuzione di partigiani, opera di soldati nazisti molto particolari. I carnefici che hanno tratti somatici orientali vengono dalle Repubbliche Asiatiche Russe. Contrari al regime staliniano, si sono arruolati per loro volontà al servizio di Hitler. Per gli italiani sono i "mongoli "ed i loro paesi natali sono il Kazakistan, il Tadjkistan... A Rosalinda fa veramente male vedere uccisi connazionali nella loro terra da gente che non sa perché sia lì. «Se la guerra è questa, che guerra sia». La giovane staffetta lariana della 40° Brigata Matteotti, decide di infondere tutte le sue energie per la lotta alla liberazione. Una bella foto, che lei conserva gelosamente, la ritrae con altre compagne mentre con sguardo intenso mira il cielo. La foto scattata il 25 aprile del 1945, nella Casa del Fascio sede cittadina fino a pochi momenti prima del Partito Nazionale Fascista, è emblematica e nello stesso tempo piena di significati. Rosalinda è la sola fra le ragazze presenti nello scatto ad avere il viso ispirato e speranzoso in un futuro pieno di libertà.
«Quei giorni di fine aprile del '45, mi sono rimasti  impressi per sempre. La gente con una nuova luce nel volto, bimbi a giocare per le strade senza più avere l'incubo degli scontri, l'aria che si respirava era diversa». A conflitto finito il "Canetta" torna a casa dalla "Linda", l'anno dopo nasce Eugenia la primogenita, che porta il nome della zia scomparsa tre anni prima. Negli anni immediatamente dopo la fine del conflitto"Linda" Zariati non abbandona i suoi ideali. La politica, alla quale s'è appassionata ai tempi della staffetta partigiana nella Resistenza, rimane un punto fermo dei suoi concetti. Si iscrive nel Partito Sociale Democratico Italiano ed è per tutti i decenni seguenti una fervente attivista a livello locale del "sole nascente".
Ancora oggi mostra con malcelato orgoglio le due tessere che la accompagnano da quasi settanta anni: quelle dell'Anpi e del Psdi. Il marito, che pur non avendo mai seguito la sua donna nella politica, l'ha sempre rispettata ed amata. «Vittorio se ne andato da alcuni lustri, poco dopo essere stato premiato per 40 anni di lavoro in Ticosa» ricorda Rosalinda. Dopo la guerra ha lavorato tanti anni in una ditta di tessuti meneghina, mantiene un carattere forte ma non insensibile.
Qualche lacrima gli riga il volto quando ricorda la nascita del nipote Nadir, figlio della secondogenita Stefania che l'ha chiamato come il punto dell'orizzonte dove si osserva il sole nascente. Quell'orizzonte che lei guardava con occhi di ragazza innamorata della vita, dal balcone in Piazza del Popolo sessantasette anni fa. 
(* Storico e scrittore)

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