Maria e la val d'Intelvi
Un legame del cuore

L'italianista Vincenzo Guarracino rilegge i racconti comaschi della scrittrice e filologa, morta 10 anni fa e sepolta proprio a Pellio. Guarda la fotogallery.

di Vincenzo Guarracino

Venne anche «chiamato a Como perché il suo nome si diffondeva, ma continuò a studiare con un maestro di valore, il quale gli ripeteva più volte che in musica, come nelle altre arti, dopo che si è camminato molto si può essere ancora allo stesso punto». Me l'ero appuntata questa frase all'epoca in cui avevo letto il libro, anche perchè a tutta lettera vi si evocava il nome di Como e il racconto  risultava ambientato in una delle più incantevoli valli (la Val d'Intelvi), che fanno corona al Lario. Ora me la ritrovo, questa citazione, a suo tempo sottolineata, e mi viene buona per varie ragioni, nel mentre mi accingo a scrivere qualche considerazione, per ricavarne indicazioni, non tanto sul libro ("Storie", Manni, Lecce, 2000), quanto sull'attitudine dell'autrice, Maria Corti, nei confronti della vita e della scrittura, tanto più significativo in quanto esplicitato in un'operina minore, apparentemente marginale, nella sua vasta produzione letteraria e intellettuale. Mi viene buona, dicevo, per varie ragioni, soprattutto ora che cade il decennale della sua scomparsa (avvenuta nel 2002): innanzi tutto, per il tenore stesso della citazione, poi per la semplicità e neutralità del titolo complessivo e infine per quello che l'insieme rivela in riferimento alla "necessità" del paesaggio, di un paesaggio. E mi spiego.
Innanzi tutto, soffermiamoci sull'affermazione d'apertura, che ha una sua indubbia validità anche al di là del contingente, come è facile constatare. «In musica, come nelle altre arti, dopo che si è camminato molto si può essere ancora allo stesso punto», infatti, non parla solo del protagonista del racconto, Adriano, personaggio di straordinario candore e innamorato della musica, che per far trionfare il suo sogno lotta contro i condizionamenti sociali e addirittura biologici, segnato com'è da tare ereditarie di una discendenza endogamica, ma propone una verità, unasalutare lezione di vita, dal valore paradigmatico, esplicitando la necessità di confrontarsi con limiti e risorse da parte di ciascuno e di mettere in atto un modo responsabile di rapportarsi con le proprie aspirazioni.
In quanto al titolo del libro: dimesso e generico, "Storie", ostentatamente neutrale, comprendente complessivamente sei "storie" suddivise in due sezioni, "Trittico medioevale" e "Tre storie", ma ricco di implicite risorse e di un'intima unitarietà, al di là della diversità dei temi e delle ambientazioni, come a dire che al di là dell'ostentata eterogeneità e occasionalità delle singole tessere, al di là dell'apparente impossibilità di istituire relazioni tra le diverse parti, quel che conta è il progetto complessivo, l'idea di far vivere e lievitare la vita, il destino di ciascuno, nella mutevolezza e diversità, nell'"incertezza", delle occasioni storiche e ambientali.
E infine, il legame col territorio, con il paesaggio e lo scenario della messa in gioco di sé. In termini generali, il fatto che vi "agisca", vi si ponga allo scoperto  e in modo esplicito, un legame a doppio filo con un territorio specifico sembra voler dire che non si danno ragioni intellettuali al di fuori di un profondo radicarsi in un preciso contesto di esperienze e sentimenti (un po' quello che gli antichi intendevano con l'espressione "genius loci"), di cui si finisce per assumere e in un certo senso riflettere il carattere, fermo restando che la personalità di ciascuno, il suo "destino", si forma e forgia attraverso le molteplici e mutevoli occasioni dell'esistenza, attraverso "l'incertezza" che è «una qualità base della vita» (come viene paradigmaticamente sottolineato in "Tradimento spirituale", uno dei racconti che compongono la silloge), nel senso che impone continui adattamenti e convenienti adeguamenti.
Il fatto poi che si tratta di un territorio molto particolare, essenziale per l'autrice, ci porta ad una considerazione sulla "necessità" di certe storie e di certi ritorni, in cui si mettono in gioco ragioni più o meno autobiografiche (come non pensare all'autobiofismo di "Tradimento spirituale" con la storia di Margherita, una giovane insegnante, che in tempo di guerra matura una sua "educazione sentimentale" tra Chiari, Milano e Como?).
Un discorso, che vale al di là dell'ambientazione comasca e intelvese della specifica storia ("Erbonne: il soverchiante peso del destino"), da cui è tratta la citazione, e che si estende anche all'altro polo, il Salento, pur esso esplicito in un altra "storia" della prima sezione, ossia "La signora di Otranto", che ha costituito il paesaggio dell'anima dell'autrice, dividendo emozioni e intenzioni dell'intera sua vita, con in mezzo la Milano della sua battagliera avventura intellettuale: tra ragioni affettive e familiari (non a caso a Pellio Intelvi riposa nella tomba di famiglia, dal 25 febbraio del 2002) e ragioni e necessità creative (Otranto, scenario della messa in gioco del destino di ognuno, di un memorabile romanzo, "L'ora di tutti" del '62).
* Italianista, scrittore e poeta.

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Eco di Bergamo MARIA CORTI