Guidacci, vent'anni dopo
Poetessa da riscoprire

Raffinata e intensa, protagonista di tesi di laurea, la poetessa fiorentina non conta ancora su una biografia letteraria: a quando? Ecco alcune sue traduzioni di Emily Dickinson e l'indice delle opere del Fondo Guidacci. Scarica i pdf.

di Serena Scionti


Due anni fa, nell'approssimarsi del ventennale dalla scomparsa, caduto proprio ieri, Marietti pubblicò "Poesia come un albero", un'antologia di Margherita Guidacci, la cui opera omnia apparve nel 1992 per Le Lettere.
L'ultima silloge della poetessa fiorentina, "Anelli del tempo", uscì postuma nel 1993, e ne rappresenta il testamento spirituale: «Ho messo la mia anima fra le tue mani. / Curvale a nido. Essa non vuole altro / che riposare in te. / Ma schiudile se un giorno / la sentirai fuggire. Fa' che siano / allora come foglie e come vento, / assecondando il suo volo. / E sappi che l'affetto nell'addio / non è minore che nell'incontro. Rimane / uguale e sarà eterno. Ma diverse / sono talvolta le vie da percorrere / in obbedienza al destino. (All'ipotetico lettore)».
Appartata dai cenacoli poetici, relegata all' etichetta di "poetessa religiosa", Margherita Guidacci merita ancora di essere riletta come poeta tout court, e tra coloro che hanno lasciato una traccia indelebile nel secolo scorso. Traduttrice e studiosa della Dickinson e di Eliot - ma anche dal polacco e dal giapponese- crebbe in campagna, sviluppando così una forte consonanza tra l'interiorità e il divino che si trova nel creato. Si laureò in letteratura italiana all'Università di Firenze, con una tesi su Giuseppe Ungaretti.
Il suo percorso poetico, cui fu iniziata dal cugino Nelo Risi, a sua volta scrittore, accompagna la riflessione spirituale che intensamente la animò per tutta l'esistenza. I suoi testi posso essere letti come un diario intimo ricco di luci ed ombre, vita e morte, gioia e sofferenza compresenti. Mario Luzi nel rievocarla dice di «un'impressione di luce festosa, una letizia mentale, accompagnata però da un senso luttuoso. Qualcosa segnava delle ombre in lei e segnava nel profondo chi ascoltava». Ombre dello spirito e ombre della mente: nel suo cammino terreno la Guidacci provò l'esperienza della clinica neurologica, a seguito di una crisi esistenziale e coiugale che raccontò in versi nella raccolta "Neurosuite" (1970). Nella vita entrò a ritroso, di sé conobbe più lo sfiorire che il fiorire, timida si mosse quaggiù, proiettata in una dimensione eterna. Divenuta vedova, la vita le riservò l'inaspettato dono di un nuovo incontro affettivo, che cantò in "Inno alla gioia" (1983). La affidiamo alla memoria dei lettori con "Nessuna parola": «Poiché non mi veniva nessuna parola / (la parola era "addio", ma non riuscivo a dirla) / ti ho dato il mio silenzio / ed ho ascoltato il tuo / e non è stato un vuoto, ma condivisa pienezza / e ancora gioia, mentre accettavamo, / come la terra, un nostro tempo di neve, / bianco grembo d'attesa delle future estati».

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