Biondillo fa riflettere
sui padri separati

Lo scrittore presenta il suo ultimo romanzo l'8 ottobre alla libreria Ubik di Como. E' una storia struggente e drammatica: "Non è la mia storia - spiega a La Provincia - ma qualcosa che sentivo il bisogno di raccontare con onestà"

di Severino Colombo

«Non faccio sociologia ma racconto storie». La premessa - scritta in una Nota in apertura al romanzo - è stavolta quanto mai d’obbligo. Perché l’ultimo romanzo di Gianni Biondillo affronta in maniera diretta, forse per la prima volta in Italia, un tema d’attualità: i diritti dei padri separati. Quindi fa bene il 43enne scrittore e architetto milanese a sgombrare il campo da equivoci: qui non ci sono dati sui divorzi, neppure statistiche sugli affidi e nemmeno rimandi alla Leggi 54/06 («Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli»). C’è, semmai, la storia - esemplare, lacerante, fin’anche banale - di un uomo. Luca è un marito e un padre, lavora sodo, spesso lontano da casa, per garantire alla famiglia quello standard di benessere che ritiene la base della felicità. Sogna una vita perfetta, ma si ritroverà a mettere insieme i cocci di un’esistenza andata in frantumi. «Non è la mia storia - precisa lo scrittore - ma qualcosa che sentivo il bisogno di raccontare con onestà e senza cedimenti al sentimentale; è il mio libro più sofferto, forse inconsciamente, è stato anche una forma di esorcismo». La storia comincia con uno sguardo dall’alto del narratore, una panoramica che si stringe fino a entrare dentro una stanza in disordine. È lì tra le pareti domestiche il teatro dell’azione, il campo di battaglia dove si consuma la più crudele delle guerre quella degli affetti. E la presenza silenziosa, discreta quasi angelica della bambina durante i litigi dei genitori la dice lunga su chi è a farne davvero le spese. «Al centro della vicenda c’è un uomo ma non è un libro di parte - precisa - piuttosto porta avanti l’idea di una società più equa in cui i genitori, padri e madri separati, abbiano gli stessi diritti e doveri verso i figli». Il romanzo, stretto in ritmo cinematografico, scorre avanti e indietro a ricostruire gli anni dell’innamoramento, i momenti del parto, le sedute dall’avvocato, i litigi. Flash back che fanno perno sui minuti fatali di una vigilia di Natale in cui il protagonista, con la canna della pistola infilata in bocca, decide il suo futuro. All’interno di queste dinamiche narrative Biondillo gioca bene le sue armi da "giallista" dosando suspense e rivelazioni. «Il complimento più gradito - osserva - me l’ha fatto un ragazzo non ancora padre, dicendomi che a metà libro ha dovuto fermarsi perché l’emozione che provava era troppo forte». La tragedia di Luca prende allo stomaco, fa venire un groppo in gola, crea uno stato d’ansia da cui è difficile liberarsi. In altri libri Biondillo ha dimostrato di essere un abile costruttore di scenari urbani e sociali, stavolta sceglie la strada della sobrietà: «è stato un lavoro a togliere, ad asciugare; le situazioni sono già così cariche di emozioni che ho tenuto a freno le parole, meglio due di meno che una di troppo». Il risultato è un romanzo importante e maturo che ricorda, se ce ne fosse il bisogno, che Biondillo (sei libri alle spalle più varie divagazioni letterarie) non è più un giovane scrittore («Eppure continuano a considerarmi tale») e che non è solo un giallista. Una curiosità: chi è rimasto affezionato all’ispettore Ferraro del Commissariato di Quarto Oggiaro lo ritrova anche in questo romanzo, nel ruolo dell’amico e confidente del protagonista.

Gianni Biondillo, «Nel nome del padre», Guanda, 195 pag., 14,50 euro. L’autore è l'8 ottobre, alle ore 18, alla libreria Ubik di Como.

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