Barbarossa? Un "federalista"
Con lui Como divenne Provincia

Un prezioso diploma imperiale custodito all'Archivio di Stato sancisce ufficialmente l'estensione dell'autorità del Comune lariano sull'intero territorio della Diocesi.

Dei nove fra privilegi, ordini e comunicazioni varie che Federico I (1152-90) indirizzò al Comune di Como e che possiamo leggere in copia duecentesca dai "Vetera Monumenta" nel nostro Archivio di Stato, merita interesse il diploma del 21 maggio 1175, emanato nella capitale Pavia durante la quinta discesa in Italia (1174-78) e una tregua delle ostilità con la Lega Lombarda. Sorvolando sulla passata adesione di Como alla Lega, il privilegio fu concesso dal sovrano con la solita motivazione generale che premiare la fedeltà è nell’interesse dello stato, ma anche con un richiamo più specifico alla costante filocomasca della sua politica fin dalla ricostruzione da lui promossa nel 1159 delle mura distrutte dai Milanesi.
Il privilegio si articola in sette commi (disordinati), di cui tre a favore dello sviluppo economico e demografico della città. Il 5° conferma una specie di sanatoria già introdotta in un privilegio del 1159 per Como riguardo a certe compravendite irregolari fra privati. Il 6° le riconosce il mercato: un riconoscimento vitale, visto che nel caso di Lodi, la sorella di sventura di Como, alla distruzione della città i Milanesi avevano fatto seguire il divieto del mercato faticosamente ricostituito nei sobborghi. Infine il 4° garantisce la libera immigrazione in città, contro le ovvie resistenze dei Milanesi e dei grandi proprietari e signori del territorio rurale. Una vita giuridica meno irrigidita su arcaismi contrattuali, un mercato importante in città, un aumento delle bocche da sfamare ma anche delle braccia: ecco tre ingredienti del decollo urbano garantiti anche a Como nel 1175.
Ben più importanti i commi relativi alla valenza di diritto pubblico e amministrativa del comune cittadino, una realtà di autonomia locale ancora recente e abusiva. Il 2° continua sulla via del suo riconoscimento, per Como già avviata dal 1159, affrontando ora le modalità dell’elezione dei consoli, la sua rivoluzionaria magistratura collegiale, a tempo ed elettiva: tornate annuali di libere elezioni dal basso e in loco, nell’interesse di Como ma anche dello stato, e quindi (unica indicazione fra le righe) non a favore di antimperiali sfegatati; e poi una cerimonia formale di immissione in carica da parte del sovrano per ribadire il principio che ogni autorità deriva da lui, con sconti sulla frequenza della cerimonia (non ogni anno ma ogni tre) e sul numero dei consoli precettati (anche uno solo) quando l’imperatore non fosse in Italia, ma nel più lontano regno di Germania. Col 3° comma concede poi "alla stessa città che a nessuno sia permesso ricostruire il castello dell’Isola o di Gravedona". Questo punto doveva star particolarmente a cuore agli ignoti consoli comaschi che trattarono per ottenere il privilegio. Infatti, come 7° e ultimo, è ripetuto più avanti e fuori posto rispetto all’ordine solito dei diplomi sovrani, come un’aggiunta strappata all’ultimo istante; anzi è ripetuto più ampio, esteso a ’qualsiasi’ nuovo castello entro i due territori pievani, ed è addirittura l’unica disposizione del privilegio garantita da sanzioni penali ed economiche, queste ultime nella percentuale solita del 50% all’erario imperiale e del 50% alla parte lesa, qui la città. L’ultimo comma del privilegio e il 3° suo gemello riguardano dunque il controllo militare del comune cittadino su due località e due zone del (centro e alto) Lago. All’intero territorio della diocesi, infine, si riferisce il 1° comma, sulla concessione perpetua alla città in quanto tale, cioè al comune, di quanto il comune stesso o singoli cittadini o enti ’possiedono o quasi possiedono’ entro quell’ambito amplissimo. L’espressione ’possedere e/o quasi possedere’, ricavata dal diritto romano proprio allora in fase di riscoperta, in questo caso non si riferisce sicuramente a immobili, perché porterebbe alla conseguenza assurda che il comune cittadino confisca quelli rurali di singoli cittadini o enti comaschi. Va invece riferita a quei ’diritti’ pubblici (di controllo non solo militare, ma anche giudiziario, finanziario e politico) detenuti di fatto nell’intero territorio diocesano dal comune cittadino o da singoli enti o abitanti della città per concessione sovrana o semplicemente per usurpazione divenuta consuetudine: appunto solo come ’possesso e/o quasi possesso’ perché si tratta di prerogative regalistiche, la cui titolarità spettava al sovrano. Con la loro concessione al locale comune cittadino, che poteva decidere di farne uso ad esempio vietando la costruzione di nuovi castelli all’Isola e a Gravedona, lo stesso comune cittadino (dotato di giurisdizione sulla città e sui sobborghi) diveniva ufficialmente per così dire anche Amministrazione Provinciale (con giurisdizione sull’intero territorio della diocesi).
La tendenza è generale per tutti i comuni cittadini, ma per quello di Como ebbe conseguenze strepitose. Infatti da almeno mezzo millennio, per un’anomalia che dovrebbe risalire all’età longobarda, la nostra era, sì, una città, in quanto sede di vescovo, ma sul piano civile una città di serie B sottoposta alla contea di Milano, con una propria diocesi spartita fra la contea milanese a est e sud e quella rurale del Seprio ad ovest. Preso atto della dissoluzione di questa fragilissima contea rurale e del generale superamento delle contee cittadine ad opera dei rispettivi comuni, il diploma del 1175 per odio a Milano e amor di Como promosse quest’ultima allo stesso livello della prima e inoltre ne razionalizzò i confini con l’allineare quelli civili su quelli ecclesiastici. Ne derivarono per Como non solo un comune cittadino autonomo, ma anche una (per così dire) provincia autonoma estesa quanto la diocesi, dalla Valtellina e Valchiavenna al grosso del Lago e alla Bassa, con parti del Varesotto e col grosso del futuro Canton Ticino.
Un anno dopo, il 29 maggio 1176, a Legnano, Milano e la Lega Lombarda sconfissero Federico. Del suo esercito facevano parte contingenti di Comaschi, come ovvia contropartita per il generoso privilegio dell’anno prima. Quasi tutti finirono prigionieri, e per il loro rilascio da parte di Milano le difficili trattative durarono oltre due anni, comportando anche una dolorosa rinuncia comasca ad alcune pievi e località che in parte vanificò il privilegio del 1175.

Livia Fasola
*Docente di Storia Medievale all’Università di Pisa

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