Don Lisander e il vino
Un amore corrisposto

Manzoni stravedeva per il Serbillano di Lesa, vitigno del lago Maggiore ormai estinto. Negli anni '30 del Novecento si scoprirono alcune bottiglie a Erba. Emilio Magni racconta per La Provincia il "vizio" segreto dell'autore dei "Promessi Sposi"



di Emilio Magni

Alessando Manzoni amava bere un suo vino esclusivo, il Serbillano, prodotto sulle colline del Verbano. A "don Lisander" piaceva tanto il Serbillano da convincere, una volta a tavola, l’astemia Giulia Beccaria a gustarlo con disinvoltura.
Su queste piacevoli debolezze manzoniane si dissertò e si scoprì qualche gustoso particolare, durante alcuni convivi brianzoli, colti ed epicurei, di qualche decennio fa. Erano i tempi in cui scivolava via, piacevolmente pigra, la gaudente adunata vespertina di amici intorno alla tavolata imbandita e il conversare vagava sulle qualità dei vini, come accade sempre quando le menti prendono a farsi un po’ torbide per i ricorrenti apprezzamenti delle mescite che l’oste, esperto e generoso, andava facendo. Erano della compagnia intelletti vivaci, colti, pieni di passioni per le varie muse delle arti e degli ingegni, tanto che la conversazione, una sera, andò allargandosi, con concetti e riflessioni dotte, sulla letteratura dell’Ottocento passando disinvoltamente da un poeta all’altro: dal Porta al Manzoni, dal Foscolo a Leopardi.
Con il bicchiere alzato, con inconscia frequenza, per celebrare le più celebri rime, venne naturale cercare un abbraccio tra la poesia e il buon vino. Ed è stato così che largo si è fatta la pretesa di conoscere se anche i grandi poeti dell’Ottocento amavano il vino e in particolare di che colore e qualità.
In prima battuta la discussione sembrò andare a perdersi in un mare di ovattate prostrazioni perché, presi così di botto, i conversatori non seppero tirare fuori risposte concrete. Poi, lentamente la situazione riconquistò qualche tono vivace grazie a uno dei commensali il quale tirò qua un sonetto nel quale Carlo Porta celebrava il vino semplice delle contrade meneghine, sostenendo: «Che Toccai, che Alicant, che Sciampagn, / che pacciugh, che mes’ciozz forest! / Vin nustran, vin di nost campagn». Altre voci si alzarono per ricordare che , anche se con poche parole, nello "Zibaldone", fu Giacomo Leopardi a conferire valore e gloria al vino definendolo «il più certo e (senza paragone) il più efficace consolatore», celebrando il suo valore, la sua natura ed asserendo che alcuni esperti suggeriscono: «Volendo dalle donne quei favori, giova prima bere buon vino».
Davanti a queste ardite affermazioni qualcuno restò tra l’incredulo e il sorpreso. Un altro s’azzardò a dire che Leopardi talvolta sorprende proprio ed aggiunse che il poeta di Recanati scrisse addirittura una poesia contro la minestra che proprio non gli piaceva. Mentre su queste battute la serata andava smorzandosi, di colpo si alzò il notaio Franceschetti, uno degli animatori, di quei raduni epicurei, e annunciò d’improvviso che lui sapeva che Alessandro Manzoni era uno cui «piaceva bere» e soprattutto sapeva «bere giusto».
Di colpo l’atmosfera si rianimò e l’ingegner Mazzoleni, che amava focosamente «don Alessandro» e tutte le sue opere, rimase sconvolto, quasi offeso. Riuscì solo a dire: «Addirittura», poi riacquistò vigore e disse: «Lo dimostri». Il notaio annunciò di aver scovato delle carte dei primi del 900 che parlavano di una scoperta di «cose interessanti» fatta nelle cantine della Villa Torricella, sopra ad Erba (Como), citata più volte dal Porta e dimora del Manzoni nel 1859.
Al momento non poteva esibire prova alcuna, ma alla prossima adunata avrebbe dimostrato che il Manzoni amava bere un vino «straordinario», chiamato Serbillano di Lesa, prodotto sui colli del Lago Maggiore, dove era la dimora della famiglia dei conti Borri Stampa, quella della sua seconda moglie Teresa, che era proprietaria anche di Torricella. La congrega degli amici gaudenti non perse tempo. Pochi giorni dopo, davanti alla tavola imbandita, il notaio esibì, delle carte ingiallite.
Era una copia della mensile "Emporium", che il famoso «Istituto d’arti grafiche di Bergamo» pubblicò per molti decenni tra l’Ottocento e il Novecento.
Nel numero del febbraio del 1932 lo scrittore Ezio Flori (autore di importanti lavori sulla vita privata di casa Manzoni, conservati all’«Istituto studi Manzoniani») racconta che all’inizio del secolo scorso la villa di Torricella fu acquistata dall’imprenditore e mecenate Luigi Silva di Seregno, ricco personaggio, tecnico dell’agricoltura, dell’industria e della finanza. Preso possesso della celebre dimora il Silva andò a rovistare un po’ qua e un po’ là. Sistemò la camera da letto che accolse il Manzoni e altri reconditi anfratti. La scoperta più bella fu in cantina dove stava una trentina di bottiglie che venivano da Lesa. Flori scrive: «E allora si comprese che era del Serbillano, quel famoso vino del lago che piaceva tanto a don Alessandro, che quando appariva in tavola, a casa Manzoni, faceva per dispetto torcere il viso a donna Giulia Beccaria, ad alcuni commensali dire che fra tutti gli altri vini lo preferivano e don Alessandro protestare di voler lui solo possedere tutte le brente disponibili a Lesa. E allora donna Giulia acquietarsi e, tra la sorpresa generale, berne più di un bicchiere». Il vino Serbillano amato da Manzoni? Ora se ne sono perse tutte le tracce e il suo vitigno è dimenticato. Come tanti altri celebri se l’è portato via la fillossera. Per fortuna quel prezioso storico che fu Ezio Forni ne scrisse su l’ "Emporium" un tempo giornale assai prestigioso ed ora assurto a pezzo raro per i collezionisti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA