Eventi d'arte made in Como?/2
Sgarbi: "Viva il locale"

Il critico indica ai comaschi i modelli virtuosi: nelle Marche in 70 mila per De Magistris

Il critico d’arte Vittorio Sgarbi interviene nel dibattito aperto da "La Provincia" sul destino delle "grandi mostre" a Como. Un confronto nato dalla mancata copertura del costo dell’ultima esposizione promossa dal Comune a Villa Olmo (Klimt, Schiele e i tesori del Belvedere di Vienna), che induce a riflettere su una politica dell’arte più attenta alle grandi risorse del territorio - pittoriche, monumentali, archivistiche - spesso sconosciute agli stessi comaschi. Dopo i pareri di Luciano Caramel (Università Cattolica) e Flavio Caroli (Politecnico), la parola passa al noto critico d’arte.

Vittorio Sgarbi, c’è qualche esempio di città italiane di provincia che hanno organizzato con successo grandi mostre, a cui Como può guardare come modello?

Un esempio su tutti è la mostra che abbiamo fatto l’anno scorso nelle Marche a Caldarola, un comune di 1800 abitanti che ha avuto 70.000 visitatori. Parlo di "Simone De Magistris, un pittore visionario tra Lorenzo Lotto e El Greco" nel Palazzo dei Cardinali Pallotta. Si tratta di un pittore locale molto estroso, presentato con una confezione accattivante e messo fra due autori noti; uno è Lorenzo Lotto, il più celebre dei pittori che hanno lavorato nelle Marche e l’altro è un pittore universale e popolare come El Greco. Così abbiamo ottenuto un ottimo risultato.

È ripetibile il successo di Caldarola?

Non siamo riusciti a fare altrettanto nella mostra al Palazzo dei Priori a Fermo con Vincenzo Pagani che abbiamo posto come "pittore devoto tra Crivelli e Raffaello". Il pittore devoto evidentemente ha attirato di meno del pittore visionario, ma è stato un tentativo di riprodurre la felice formula di Caldarola con minori risultati.

Ci sono città di media grandezza che hanno ancora il coraggio di volare alto?

Ci sono delle piazze piccole in cui avvengono fenomeni piuttosto impressionanti. A Perugia che è una città di media grandezza, legata a geni locali come il Pintoricchio o il Perugino, abbiamo avuto l’idea di portare due collezioni più che gli impressionisti o i macchiaioli. Infatti nella mostra "Da Corot a Picasso. Da Fattori a De Pisis" appena inaugurata a Palazzo Baldeschi al Corso che celebra il centenario della Cassa di Risparmio di Perugia abbiamo messo a confronto due collezioni, con le loro diverse identità, e una terza che è quella della sede che le ospita. L’impostazione promette un buon risultato.
Come è possibile valorizzare i tesoretti nascosti all’interno dei musei delle piccole città?
Ci sono molte collezioni preziose che possono essere valorizzate. Una delle più belle è quella della Fondazione Pogliaghi a Varese. Sono raccolte chiuse al pubblico che attendono un intervento di riabilitazione che non le trasformi, ma ne mantenga lo spirito. È evidente che quando queste realtà vengono proposte in maniera efficace diventano anche di moda, come nel caso delle operazioni del Fai. Così è avvenuto con la collezione Gianferrari a Villa Necchi a Milano, dove si è creata un’aggregazione di museo che prima non c’era e non era prevedibile.

Stefania Briccola

© RIPRODUZIONE RISERVATA