Fabrizio Musa, il talento comasco
che ha conquistato l'America

Pittore, 37 anni, studi al Gallio: l’architetto Botta l’ha voluto con sé in mostra a Torino. A New York, dov’è di casa, è uno degli artisti più ricercati: ecco la sua storia

I primi quadri stanno ritornando alla base. La mostra di Torino quella che l’ha visto protagonista insieme all’archistar Mario Botta, s’è appena conclusa. Stiamo parlando di Fabrizio Musa, artista comasco, classe 1971. In questi giorni è a Como. Lo provano le finestre sempre aperte della sua casa in via Ballarini, per fare uscire le nuvole di fumo delle sue Lucky Strike. Ancora per un po’. Il trolley è sempre pronto per volare a New York, dove trascorre circa la metà dell’anno, per lavorare e accondiscendere una committenza privata sempre più esigente e che apprezza le sue creazioni. <+G_TITOLINI>Dal pop allo scanner <+G_TONDO>Certo, è lontano il tempo del liceo al Collegio Gallio, delle prime tele di gusto pop e le sperimentazioni con lo scanner, che hanno caratterizzato i suoi esordi sul palcoscenico artistico, ma Fabrizio Musa è rimasto quello di un tempo. Sempre allegro, sempre disponibile a un confronto dialettico o a partecipare a delle iniziative espositive per il solo gusto di farlo. Anche adesso che è coccolato da uno dei più importanti architetti a livello mondiale che vede nelle sue opere, la conferma della tenuta delle sue architetture. Partiamo allora da questa collaborazione e dalla recente esposizione, dal titolo <+G_CORSIVO>Santo Volto txt<+G_TONDO>, curata da Alessandra Coppa, storica dell’architettura, che si è tenuta allo spazio <+G_CORSIVO>Fiat 500 art garage<+G_TONDO> del capoluogo piemontese. «Si è trattato - ci dice Fabrizio Musa - di una mostra incentrata interamente su un’architettura di Mario Botta, ovvero la chiesa del Santo Volto di recente costruzione. Il percorso espositivo era caratterizzato da un wall paint di 9 x 5 metri, creato appositamente per l’occasione, che riproduceva un dettaglio dell’edificio sacro, ed era accompagnato da alcuni acrilici su tela di grandi dimensioni e, per la prima volta, da una serie di serigrafie, oltre a degli schizzi inediti di Mario Botta». <+G_TITOLINI>Pittura antica in digitale <+G_TONDO>Fabrizio Musa ha sviluppato nel tempo una sua tecnica particolare che è in grado di far convivere l’antica tecnica della pittura, con le nuove tecnologie digitali, che vanno dalla fotografia, all’uso del computer. E questi lavori, caratterizzati da un uso cromatico ridotto all’osso, hanno saputo affascinare anche Mario Botta. Com’è nato questo connubio? «Mario Botta era venuto a sapere dei lavori che avevo realizzato su Terragni, come il murales in centro Como o quelli in via Carloni, o ancora la mostra al Parlamento europeo di Bruxelles. Ha espresso il desiderio d’incontrarmi per vederli dal vivo. E così, accompagnato da Luciano Caramel, è venuto nel mio studio. Le mie opere gli sono piaciute a tal punto da volere approfondire il discorso, mettendomi a disposizione il suo archivio e la possibilità di lavorare con membri del suo staff, tra i quali voglio ricordare il fotografo Enrico Cano, anch’egli comasco. Quella con Botta è una collaborazione in costante evoluzione che ci porterà nel prossimo anno a pensare a un’esposizione in uno spazio pubblico a Milano». E se questa è la dimensione locale, comasca di Fabrizio Musa, ne esite un’altra; quella americana, in particolare newyorkese. «Sì - continua Musa, per me New York ha sempre rappresentato il centro del mondo, una città magica in grado di trasmettere vitalità e nuovi spunti, soprattutto per chi fa un lavoro come il mio. Lì sono nati i movimenti che hanno influenzato l’evoluzione artistica degli ultimi cinquant’anni, e da lì passa il mercato globale. Con la scusa del viaggio di piacere, ho cercato di far vedere il mio lavoro per capire se c’era interesse. Per fortuna, ho trovato persone che hanno creduto in me, fin da subito. Poi, grazie a quello straordinario mezzo che è internet, una volta tornato in Italia, ho continuato a intrattenere rapporti con gli Stati Uniti, finché sono stato contattato da Wooster, una galleria del Downtown, per esporre una mia opera in una collettiva di carattere benefico, alla quale partecipavano, oltre a vari attori, cantanti e personalità politiche, anche grandi artisti come Francesco Clemente, Ronnie Cutrone e Crash!, uno dei momumenti della street art americana che aveva collaborato con Basquiat». <+G_TITOLINI>New York, New York <+G_TONDO>E da lì, è nato tutto... "Da lì è nato subito la collaborazione con Enrico Proietti, un importante gestore di locali alla moda di New York che, a partire dagli anni Ottanta ha sposato la politica di affidare ad artisti - il primo fu Fabrizio Plessi - l’arredamento degli stessi, e che mi ha dato carta bianca per arredare il <+G_CORSIVO>Per lei<+G_TONDO> - questo il nome del ristorante sulla Seconda strada - con le mie opere, sia murarie che su tela". Il mercato statunitense di Musa segue un canale non convenzionale. L’artista comasco ha infatti scelto di non farsi rappresentare da una galleria, ma di gestire in prima persona i rapporti con i collezionisti. «È vero, mi piace avere un legame diretto con chi compra i miei quadri; mi piace conoscere e frequentare chi sceglie di appendersi in casa una mia opera. E mi dà una grande gioia, mi si conceda questa piccola vanità, vedere le mie opere nelle residenze dell’Upper East accanto a quadri di Picasso, di Katz, di Magritte». Per informazioni: www.fabriziomusa.com

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