Fortunato: "Quella volta
in autobus con il Nobel"

Il direttore delle Ratti Lectures di Como, erede di Arbasino e raffinato scrittore, intervistato in occasione dell'uscita del suo libro, parla di Doris Lessing, Nanni Moretti, Lou Reed e di altre personalità conosciute negli ultimi 20 anni

Per i suoi 50 anni Mario Fortunato - scrittore, giornalista, già a capo dell’Istituto italiano di cultura a Londra, oggi direttore della Fondazione Ratti - ha chiamato attorno a sè gli amici. Attraverso Moravia, Doris Lessing, Pier Vittorio Tondelli, Giulio Einaudi, Natalia Ginzburg, Giorgio Manganelli, e poi Borges, Auster, Bassani, Yehoshua, Ben Jelloun, in "Quelli che ami non muoiono" (Bompiani, 388 pp., 19,50 euro). Fortunato racconta un ventennio della propria vita e gli ultimi fuochi di un mondo culturale scomparso.
Fortunato, perchè ha scelto questo verso di Brodskij per il titolo del suo libro?
Il senso di questo verso è che le persone che si sono conosciute e amate in qualche modo non muoiono, nel caso specifico soprattutto grazie alla scrittura. La scrittura, fissando la memoria, restituisce una forma di eternità.
Qui si tratta della sua memoria personale, attraverso cui racconta vent’anni di letteratura...
Questo non è un saggio, è una specie di romanzo in cui i personaggi principali sono a loro volta scrittori e artisti. E come in tutti i romanzi, la sostanza prima è autobiografica, anche se naturalmente personaggi e storie vengono riplasmati e assumono una forma diversa: la materia autobiografica attraverso un processo di mediazione diventa romanzo. Nella nota introduttiva scrivo che in fondo il piacere di raccontare è lo stesso del piacere di ricordare; raccontare e ricordare sono due attività non solo consanguinee ma direi omologhe, sono la stessa cosa.
Nel suo libro c’è aria di bilancio, non è un po’ presto per tirare le somme?
Beh, ho appena compiuto i 50 anni, solo in Italia si pensa che a quest’età una persona sia ancora giovane. Una mia amica inglese qualche anno fa per i suoi 50 anni ha dato un party e l’ha chiamato «Mid heaven party, half way to paradise», a metà strada verso il paradiso. I bilanci sono sempre un po’ pericolosi, ma certo a 50 è ora di cominciare a farli.
Uno scrittore che scrive di scrittori, un rapporto tra pari o con qualcuno si è sentito discepolo?
C’è un’immagine molto bella in una della conferenze di Forster sugli aspetti del romanzo: per uno scrittore in fondo non esiste la storia della letteratura, perchè quando leggo Tacito o Mallarmè o Natalia Ginzburg questi tre scrittori sono seduto attorno a un tavolo assieme a me, non esiste una distanza storica e non ce n’è uno più grande e uno più piccolo. Fra scrittori ci si dà del tu, tranne che in alcuni casi. Per esempio con Moravia: anche se ci frequentavamo molto ci si dava del lei: ma quello era un vezzo d’altri tempi. E comunque lo stesso Moravia, benché all’epoca io fossi un ragazzetto di 27-28 anni alle prime armi e lui fosse già un monumento internazionale, durante una conversazione in pubblico in cui si parlava di letteratura mi disse: del resto lei è uno scrittore, quindi queste cose le sa meglio di me. In fondo non ci sono maestri, ci sono molti fratelli e sorelle.
Il suo libro è pieno di aneddoti, quale ricorda con più piacere?
Forse uno dei miei ricordi più teneri riguarda Doris Lessing. Ero molto giovane ed ero a Mondello per il premio letterario, che era stato assegnato alla Lessing per la sezione internazionale. Per i partecipanti al premio fu organizzata una gita a Monreale in autobus: vi prendemmo parte in pochissimi. Io e Doris ci trovammo seduti vicini su quest’autobus, quasi soli, e io per tutto il viaggio a pensare «oddio adesso le devo dire qualche cosa», invece non sono riuscito a dire niente, ero terrorizzato. Al ritorno lo stesso, nel bus vuoto chissà perchè venne ancora a sedersi accanto a me, e io muto. Vent’anni dopo a Londra, da direttore dell’Istituto italiano di cultura, le scrissi una lettera per invitarla a tenere una conferenza: sicuramente non si ricorda di me, le scrissi, ma moltissimi anni fa, quando ero un ragazzo ed ero molto timido, ci incontrammo a Mondello... Mi aspettavo una riposta di circostanza, invece mi arrivò una lettera in cui diceva: «Caro Mario Fortunato, mi ricordo benissimo di te, anch’io ero bloccata dalla timidezza...». Naturalmente a quel punto la cosa si sbloccò, ne nacque un bel rapporto.
Nel libro non ci sono solo scrittori, compaiono anche personaggi come Nanni Moretti, l’attore Colin Firth, Lou Reed...
Colin e Nanni sono miei carissimi amici, ma di loro nel libro parlo sono incidentalemente. Invece di Lou Reed racconto un episodio divertente: quando vivevo a New York lui abitava sopra di me, lo incontravo in ascensore ma non osavo rivolgergli la parola, anche perchè non ero sicuro che si trattasse di lui. Poi lo chiesi al portiere, che me lo confermò ma si stupì: «Famoso? Forse da voi in Italia, qui no di certo». Anni dopo lo vidi a Trastevere, seduto a un bar, e osai avvicinarlo. Gli raccontai nei nostri incontri in ascensore: «Ora lei è a casa mia - gli dissi - e per questo sento di poterle parlare».
Vede i segni di un declino o c’è stato solo un passaggio di testimone a un’altra generazioni di scrittori e intellettuali?
Non è un semplice passaggio generazionale, questo sarebbe naturale. No, c’è stata la scomparsa di un mondo, di un clima cuturale, di una civiltà. Sono peggiorati i media, è peggiorato il mondo dell’editoria. Quando lavoravo all’Espresso potevo proporre un’inchiesta sugli scrittori istraeliani e andarmene in Israele per un mese. Oggi una cosa del genere sarebbe impensabile, in qualsiasi giornale. C’è stato un cambiamento oggettivo, che personalmente giudico come un peggioramento. Prima c’era l’editoria, poi è arrivato il marketing, un atteggiamento più volgare e superficiale. Ma anche senza esprimere un giudizio di merito, è stato come il crollo del muro di Berlino: un mutamento radicale di scenario. Il problema per me è che mi sono sentito come l’anello mancante di questa catena: avevo un piede nel vecchio mondo e ho, e spero di avere ancora a lungo, l’altro piede in questo nuovo.
Ricorda che Manganelli la esortava a non praticare «la tanto discutibile arte» del romanzo. Ha già disobbedito, continuerà?
Spero di continuare a disobbedire. Mi piacerebbe però scrivere dei racconti, anche se è una prospettiva che atterrisce qualsiasi editore, perchè una raccolta di racconti quasi mai ottiene grandi riscontri di vendita. Ho cominciato con i racconti, e mi piacerebe tornare a questa forma di scrittura.

Barbara Faverio

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