Globalizzati, ma molto scontenti
Confronto a Como con il sociologo Magatti

Preside all'Università Cattolica, aprirà il 15 aprile in Biblioteca comunale, il ciclo di incontri primaverili dell'associazione "Ascolto", dedicati all'etica

Al posto della classica pizza o delle carissime finte trattorie casarecce, per passare una serata con gli amici, capita di darsi appuntamento nei cosiddetti ristoranti etnici. Dal cinese, all’indiano, al siriano, al take away turco con Kepap e Falafel, al messicano dove si servono Coca Cola e birra.
Che la cucina sia veramente quella del Paese annunciato nell’insegna esterna è una questione aperta. Sia come sia il Chicken Tandori e i Chili con carne sono la prova più banale e prosaica che viviamo in un mondo dove tutto è disponibile ovunque. In una parola, globalizzato. L’incontro organizzato per il 15 aprile alle ore 21 alla Bibiloteca comunale di Como, in piazza Lucati, dal gruppo culturale di ispirazione cattolica «Ascolto» prende le mosse da una domanda retorica: «La globalizzazione esiste veramente?».
Ad articolare la risposta, Mauro Magatti, preside della Facoltà di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano, studioso di queste problematiche da dieci anni, analizzate in diversi saggi. Si ricordi «L’io globale. Dinamiche della socialità contemporanea», scritto con Chiara Giaccardi (Laterza, 24 euro), «La globalizzazione non è un destino. Mutamenti strutturali ed esperienze soggettive nell’età contemporanea», sempre con Giaccardi (Laterza, 20,66 euro) e la ricerca sfociata ne «I nuovi ceti popolari. Chi ha preso il posto della classe operaia?», condotta con Mario De Benedittis (Feltrinelli, 14,40 euro).
Come recita uno dei titoli citati, per Magatti «la globalizzazione c’è ma non è una direzione: non significa creare una società più aperta e interconnessa. È bensì la rottura definitiva degli equilibri che si erano costituiti nella seconda parte del ventesimo secolo, si creano quindi delle dinamiche a noi ancora sconosciute e rispetto alle quali non abbiamo strumenti. Siamo insomma usciti da un quadro che aveva delle certezze e ci troviamo a navigare in mare aperto». Questo si traduce, nella nostra quotidianità, nell’avere una vicina di casa che indossa il velo, come pure le sue bambine, una convivenza dove sotto ribollono paure e incomprensioni. «Quando le diversità si toccano - osserva Magatti - si aprono dei problemi rispetto ai quali non si è preparati. La risposta non sta ne nel violento dire ognuno vada a casa propria ne nel semplicistico vogliamoci bene perché siamo amici. Tra le due posizioni ideologiche c’è il campo della costruzione faticosa della convivenza: richiedono limitazioni ed una concretezza storica che tolleri un grado altro di diversità e non sia il generico minestrone». Magatti, come il grande sociologo Zygmunt Bauman, vede nella paura «la tonalità emotiva di questo momento storico, segnato dall’incertezza. Fa da cassa di risonanza di una società ancora indietro rispetto alla contemporaneità che vive. Per vincere la paura bisogna investire sulle persone, educarle e prepararle. Questo è il grande fatto».

Silvia Ortoncelli

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