Il quarto racconto d'agosto
"Cronaca effervescente"/4

Mancò poco che Elettra, l'impavida cronista di nera, finisse nelle grinfie di una vipera-

Elettra avrebbe dovuto essere a letto in compagnia di un libro - possibilmente noioso - e di una montagna di Polverina Effervescente del Dottor Stroud. Invece arrancava su per una collina in compagnia di fuorilegge. «Ti prego», mormorava mentre Sbilenco la punzecchiava nella schiena con la canna della pistola. «Ti prego, stomaco mio. Fai il bravo». Più di un’ora era passata da quando aveva assunto la miracolosa Polverina e non sapeva per quanto tempo ancora avrebbe potuto tener duro. Una cosa era certa: la dose non sarebbe stata sufficiente a contenere il bruciore fino a oltre la mezzanotte.
Tanto più che, in luogo del riposo assoluto prescritto dal medico, stava nuotando in un mare di stress.
Era certa che neppure il cuginetto Aldo, quella volta che era stato sorpreso nel capanno degli attrezzi a cercare di battere il record di noci rotte con la testa, si era sentito pervadere da tanta agitazione. La colonna dei contrabbandieri, con Briscola in testa e la coppia Elettra-Sbilenco subito dietro, procedeva lungo un crinale. Chiudevano la fila gli spalloni, che ondeggiavano sotto il peso del carico. «Non ce la faccio», bofonchiò Elettra. «Non ho le scarpe adatte per questo tipo di gite. Possiamo fermarci un momento?» «No», replicò Briscola senza voltarsi. «Per favore, Briscola! Ho detto che non ce la faccio». «Ci fermeremo più avanti». «Voglio fermarmi adesso». «È così, eh? E allora fermiamoci! Certo che con te ci vuole una gran pazienza». Briscola indicò una roccia piatta: «Siediti lì». Elettra accettò l’invito. «Spiegami una cosa...», incominciò una volta che ebbe ripreso fiato. «Ma quanto parli!» «Scusa tanto! Ma, visto che mi hai sequestrata, avrò pur diritto a qualche domanda..» Il contrabbandiere borbottò un «accidenti a te». «Dimmi: perché mi hai rapita?», riprese Elettra. «Te l’ho già spiegato...» «Ma è assurdo...» «Non fare la furba: ti ho seguita per tutto il giorno. Prima al giornale, poi a teatro. Ti ho anche vista uscire dallo studio di quel dottore...» «Il dottor Stroud. E allora?» Briscola si morse le labbra. «Dunque?!», lo incalzò Elettra. Qualcosa attirò l’attenzione del contrabbandiere: «Guarda un po’ lì», disse. Elettra si voltò giusto per ritrovarsi tête-à-tête con una vipera.
Stava per balzare in piedi ma Briscola la fermò. «Non muoverti bruscamente». «E allora, che cosa faccio?», sussurrò. «Alzati piano piano. Ecco, così». «Questa volta ci siamo», pensò Elettra. «La tregua con lo stomaco è finita». Fu un miracolo, ma non andò così: riuscì a portare a termine l’operazione di allontanamento dalla vipera senza che la fornace riprendesse a bruciare. «Ma se andiamo avanti di questo passo succederà quanto prima», rifletté. Briscola le rivolgeva ora un sorriso sarcastico. «Ti senti meglio? Riposato abbastanza? Sicura di non volerti fermare ancora un po’?» «Sei più comico di uno smottamento», replicò Elettra indispettita. «Andiamo avanti e facciamola finita». «Ai tuoi ordini». La colonna si rimise in marcia e quello che seguì, per Elettra, fu il peggior incubo a occhi aperti che avesse mai vissuto. A dirla tutta, ne batteva anche parecchi di quelli vissuti a occhi chiusi. Il percorso scelto da Briscola sembrava tracciato apposta per stabilire con scientifico rigore a quanto stress potesse essere sottoposto un soggetto prima che il suo stomaco si rompesse in mille pezzi. Tanto per cominciare la colonna camminava lungo il ciglio di un burrone ed Elettra, con le sue scarpine da teatro, procedeva nella certezza che il passo successivo sarebbe stato l’ultimo. Sbilenco, con la sua pistola punzecchiante, non le era affatto d’aiuto. Si voltò per redarguirlo ma l’andatura ondeggiante del contrabbandiere le procurò un violento giramento di testa e per poco non finì nel precipizio. Quando finalmente si allontanarono dal burrone, Elettra tirò un sospiro di sollievo ma l’illusione durò poco perché la strada, di lì in avanti, non migliorò affatto. Ben presto si trovò a scarpinare su una parete ripida e friabile: ogni passo era un azzardo, una scommessa di quelle che all’ippodromo vengono pagate con la stessa quota di "corsa interrotta per invasione di marziani". Nell’affrontare la salita, sentiva crescere in sé la rabbia per quello che era un sequestro di persona fatto e finito, nonostante Briscola si affannasse a negarlo. Ciò che la spaventava di più non era la compagnia di una squadra di contrabbandieri: con i contrabbandieri, lei, ci poteva far colazione tutti i giorni. La sua vera angoscia era che lassù, ormai lontani dalla città e a chilometri di distanza dalla più vicina confezione di Polverina Effervescente, lo stomaco potesse rimettersi a fare le mattane. Quel dolore, quel fuoco terribile: ricordava bene cosa aveva passato e non voleva ripassarci. Immersa in foschi pensieri, quasi non si avvide che Briscola aveva dato il segnale di alt. Affannata e malferma sulle scarpe da città, si guardò intorno. A pochi passi c’era una casupola: poco più di un riparo per gli attrezzi e, forse, per un giaciglio di emergenza. Elettra aggrottò le sopracciglia: avrebbe giurato che quella casupola le era familiare.

Mario Schiani

(4 - continua)

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