Il racconto d'agosto de La Provincia:
<Il gioco della finanza>/3

Porfirio aveva contagiato tutta la redazione con la mania delle scommesse sportive
Liberto era esasperato. Come poteva svolgere al meglio il lavoro in quella cagnara?

Ciò che accadde dopo quel primo incontro, Liberto avrebbe potuto descriverlo soltanto con la parola "inferno". Non che Lapalla fosse consapevole di intossicare la vita del collega: si limitava a manifestare la sua esuberanza con tutta l’incoscienza possibile.
La sua radio, sempre a tutto volume, eruttava eccitati resoconti sportivi. Anche se avesse voluto cercare di comprendere quelle cronache non avrebbe saputo: era del tutto digiuno di sport e non distingueva una racchetta da tennis da un guantone per la boxe.
A infastidirlo non era solo l’apparecchio radio. Molto più seccante era il fatto che Porfirio Lapalla sembrasse incapace di seguire le radiocronache senza trattenersi dall’aggiungere, di sua propria voce, ogni sorta di commenti e imprecazioni.
Il povero Liberto sedeva alla scrivania cercando di mettere insieme i pezzi del diabolico puzzle Morletti-Transalpe/Gangini-Lepontina mentre, a pochi centimetri di distanza, Porfirio insultava a pieni polmoni un calciatore reo di aver sbagliato un penalty.
«Maledetto incapace!», urlava rosso in viso. «Due piedi sinistri ti ha avvitato la mamma. Dannazione, altre cinquanta lire che se ne vanno al diavolo».
Con questa ultima osservazione, Porfirio tradiva il suo reale interesse per le competizioni sportive. Nel suo largo petto, infatti, batteva un cuore robusto ma privo di spirito decoubertiniano. È triste ammetterlo, ma se Lapalla avesse incontrato per strada Coubertin in persona avrebbe esclamato "ecco quel vecchio gufo" e avrebbe cambiato marciapiede.
Nella filosofia lapalliana, lo sport aveva perduto ogni tratto di sano e disinteressato confronto tra ben allenate esuberanze giovanili: egli ne apprezzava soprattutto il lato economico. Una partita a cricket, per lui, equivaleva a un investimento in fondi obbligazionari, mentre una finale di hockey, più frizzante, gli ricordava il brivido di un portafoglio azionario.
La legge catalogava tale attività come "scommesse clandestine", ma Porfirio preferiva di gran lunga considerarsi un operatore finanziario specializzato nel ramo sportivo.
In questo settore, va da sé, l’iniziativa è tutto e Porfirio aveva coinvolto l’intera redazione delle sue operazioni di mercato.
«Cinque a uno!», annunciava sopra il ticchettio delle macchine per scrivere. «Cinque a uno per Carabina nella terza corsa. Avanti, smidollati. Ficcate cinque lire in questa onesta mano e presto ne riceverete venticinque. Che cosa sono quelle facce? Cinque a uno è la mia ultima offerta. Per sette a uno offro l’abbinata Carabina piazzato e Vortivegnese vincente contro l’Albatros Pagani nella settima di ritorno. Avanti, violette. Possibile che da queste parti non ci sia nessuno con un po’ di attributi?»
Gli appelli di Porfirio non restavano inascoltati e intorno alla radio si accalcavano capannelli di giornalisti intenti a seguire con animazione le radiocronache. Quando la voce del radiocronista infine si spegneva, Porfirio regolava gli affari distribuendo vincite o, più spesso, incassando crediti.
«Bene, bene», commentava. «Mai scommettere su un cavallo chiamato Balduino, caro il mio Correttore di Bozze Capo. Ne sa qualcosa il mio povero zio Nicola...» E qui inaugurava un insipido aneddoto destinato a riempire l’attesa fino al successivo evento sportivo.
Liberto si guardava dall’alimentare l’ignobile mercato, limitandosi ad assistervi con disgusto. Il problema più grave, per lui, restava quello della perduta pace. Come potevano continuare a chiedergli di svolgere al meglio la sua professione in quella cagnara, in quel suk arabo, in quella stazione ferroviaria il giorno di ferie? Egli disperava e sentiva crescere dentro di sé i sintomi di una tormentosa depressione.
Finalmente capì che non poteva esitare più a lungo. Occorreva prendesse l’iniziativa.
Un giorno che intorno alla radio si era formata una teppaglia di forse quindici cronisti urlanti (era in corso una finale di croquet) e Porfirio era al settantesimo "maledizione!" e al trentaduesimo "che io sia impiccato!", Liberto si alzò dalla sedia.
Proprio in quel momento, Lapalla urlava la sua ultima offerta: «Ottanta lire! Ottanta che finisce 7-3. Avanti, vigliacchi. Ci mi dà ottanta lire?»
«Io gliene dò ottocento», proclamò Liberto con voce ferma.
Porfirio era sbalordito.
«Ottocento lire per una partita di croquet?»
«No. Ottocento lire per la radio. E perché questo insopportabile trambusto cessi immediatamente e per sempre».
«Vediamo se ho capito bene: offri ottocento lire per comprare la mia radio».
«E per chiudere questa bisca».
«Ma perché?»
«Perché è impossibile tollerare oltre questo andazzo, indegno di una redazione di professionisti».
«Qualche scommessuccia tra gentiluomini...»
«Non vedo gentiluomini. Solo energumeni eccitati come gorilla all’arrivo di una carico di banane».
«Beh, io non la penso così...»
«Dunque! La mia offerta?»
Porfirio fece una smorfia. «No», rispose. «Non la accetto. Ma potremmo risolvere la questione in un altro modo».
«E come?»
«Con una scommessa».

Mario Schiani

   (3 - continua)

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